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Intervista su “La conversione ecologica” (18 aprile 2011)

Inserito da on Ottobre 21, 2011 – 3:44 pmNo Comment

Il suo ultimo libro si chiama La conversione ecologica e ha un sottotitolo che colpisce: Non c’è alternativa. Possiamo riassumere in poche parole la tesi centrale del su libro?

La tesi centrale di questo libro, che non è un saggio unitario, ma una raccolta di testi, ovviamente rivisti, pubblicati nel corso del tempo e in occasione e organi di stampa differente può riassumersi in poche parole: la crisi n corso non è solo finanziaria o economica; è soprattutto occupazionale e ambientale e non è possibile rimediare ai guasti crescenti che crea nel tessuto sociale di tutti i paesi del mondo se non imboccando la strada di una radicale trasformazione in senso ecologico, cioè ambientalmente e socialmente compatibile, di tutto l’apparato produttivo e dei modelli di consumo che lo sorreggono. A questa prospettiva non c’è alternativa, se non un esito catastrofico per tutti.

Come si costruisce oggi questa conversione e che cosa possiamo fare noi cittadini comuni per partecipare?

La tesi di fondo del libro che questa alternativa, la conversione ecologica, non può che costruirsi dal basso, mobilitando le risorse (il cosiddetto capitale umano), i saperi le energie dei cittadini attivi, attraverso il coinvolgimento degli organismi (associazioni, comitati, parrocchie, sindacati, ma anche amministrazioni locali, imprese e istituzioni, soprattutto scuola, università e centri di ricerca) in cui lavorano o sono in qualche modo impegnati. Si tratta prima di concepire, attraverso processi condivisi di confronto e di elaborazione, il cambiamento, i suoi obiettivi, le sue modalità, le sue dimensioni, i suoi costi; poi, di progettarlo in comune, in forma sempre più articolata; poi di rivendicarlo come piattaforma comune e infine di imporne in qualche modo la realizzazione. Si tratta di quindi di un percorso lungo, in gran parte ancora indefinito, che si svilupperà sul territorio “a macchia di leopardo; ma che in parte è già in corso: qui con molte buone pratiche di “altra economia”; in molti paesi del mondo con lotte e realizzazioni di grandi organizzazioni di comunità rurali, come via campesina, che insieme a un’agricoltura biologica e a chilometri zero promuove una completa riorganizzazione delle comunità che partecipano a questo processo.

Le istituzioni italiane, dal governo centrale fino agli enti locali, inseguono un modello di sviluppo che mostra una progressiva stanchezza – e forse anche il pianeta si sente un po’ stanco – eppure la crescita sembra essere il solo orizzonte possibile della politica e dell’economia: c’è un’alternativa alla crescita o si tratta semplicemente di imparare a crescere meglio?

Il governo italiano, ma tutto il sistema dei partiti, non sono in grado nemmeno di concepire un processo del genere. E’ una tematica che sfugge loro completamente e continuano a riempirsi la bocca con la parola crescita senza preoccuparsi di sapere o capire a che cosa si stanno riferendo. Nelle istituzioni di molti altri paesi, europei e non, il dibattito è molto più avanti e diversi governi hanno anche adottato misure concrete per promuovere la transizione anche se in tutti, indistintamente, la paura di rallentare o bloccare i processi economici in corso prevale sempre sulla scelta di affidarsi con più decisione alle prospettive aperte dalla riconversione, a partire ovviamente da quella che è la questione fondamentale della nostra epoca: la necessità e l’urgenza di passare da un’economia fondata sui combustibili fossili a un sistema basato su fonti rinnovabili ed efficienza energetica.

Lei sostiene che oggi le persone «sanno molte cose» su come si dovrebbe fare per vivere meglio tutelando le risorse naturali e la nostra stessa sopravvivenza: quali sono queste cose? C’è una gerarchia di soggetti che hanno il dovere di impararle e diffonderle?

Molte è un termine relativo. Siamo in tantissimi a cercare di tenerci aggiornati sulle possibilità e sugli strumenti per promuovere la transizione, ma siamo comunque un’infima minoranza della popolazione; soprattutto in Italia a causa di un ceto politico e imprenditoriale ignorante, arrogante e incapace di qualsiasi visione prospettica. Le “cose” che tutte le persone attente e sensibili alle condizioni di sopravvivenza dell’umanità sanno riguardano alcuni ambiti che sono al centro di ogni possibile transizione: fonti energetiche rinnovabili, efficienza energetica, agricoltura e mobilità sostenibile, edilizia e urbanistica ecologica, difesa degli assetti idrogeologici, adeguamento dei sistemi educativi e formativi. Si conoscono le potenzialità esistenti in ciascuno di questi ambiti; si è molto meno in grado di capire come fare per imporli all’attenzione pubblica.

In un momento in cui la mancanza di fondi giustifica qualsiasi disattenzione da parte dell’amministrazione pubblica come si imposta un discorso di conversione ecologica, che richiede investimenti a lungo termine e un cambiamento culturale dei cittadini? O per dir meglio: in un’epoca di visioni a breve termine come si costruisce una politica di lunga prospettiva su questi temi?

Potrei rispondere che le risorse ci sono e sono nelle mani di persone ricche, che sono sempre più ricche anche in tempi di crisi e di fronte a un impoverimento vertiginoso di un numero crescente di loro concittadini. Ma sono consapevole che riprendere ai ricchi ciò di cui si sono per lo più ingiustamente appropriati è sempre più difficile. Il fatto è che molte trasformazioni, molte “buone pratiche”, molte iniziative condivise si possono realizzare anche a costo zero o quasi. I GAS, gruppi di acquisto solidale che saltano la mediazione del mercato per collegarsi direttamente con produttori che corrispondano ai requisiti richiesti, e contribuendo così alla crescita in spari, consapevolezza e socialità di tutti quelli che partecipano, ne sono un esempio. Potrebbero crescere tantissimo, ed estendersi a molti altri campi al di là di quello alimentare, e poco altro, in cui operano attualmente, se solo potessero contare sull’appoggio delle amministrazioni locali dei territori in cui operano; e contribuire così alla crescita di nuove imprese e al risanamento di molte altre che sono ormai alla canna del gas. E in questo modo, che ovviamente non è il solo, costruire una forza di contrattazione in grado di imporre cambi di rotta prima ai governi locali e poi anche a quelli nazionali. Dietro queste pratiche, che sono il motore di una vera crescita culturale di chi vi partecipa, c’è sempre una visione prospettica di ampio respiro, anche quando ci si occupa di cosa “minime” come l’acquisto di frutta e verdura; una visione prospettica che manca completamente al ceto politico italiano di destra e di sinistra.

 

Ho rilasciato questa intervista  a Samuel Moretti per conto de La Stampa di Biella e dell’associazione Pacefuturo

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