“Per me ogni problema politico è demandato alla conflittualità”. Intervista del mensile umbro “Altra pagina” (novembre 2011)
“Italia a posto entro tre mesi” strillava l’ex ministro Brunetta in una intervista al Giornale del 10 agosto scorso. E Berlusconi, solo qualche giorno prima di dimettersi, aveva garantito che nel paese non c’era alcuna crisi in atto, tanto è vero che «i ristoranti sono sempre pieni». Balle stratosferiche di questa portata ci sono state raccontate per anni. E mentre l’Italia stava sprofondando, la grande informazione continuava a propinarci storie di “olgettine”, di improbabili nipoti di Mubarak e di performance sessuali del nostro presidente del consiglio. Il risveglio, dopo questo lungo letargo della ragione, è stato terribile. I cittadini hanno scoperto con sgomento misto a incredulità che il paese è entrato in recessione (il Pil non cresce) e che ora rischia seriamente la bancarotta. E che forse neanche un governo di tecnici al quale in tanti, a destra come a sinistra, si aggrappano, possa salvarci dal disastro.
Abbiamo parlato della difficile e complessa situazione in cui ci troviamo con Guido Viale, economista esperto di questioni ambientali.
Siamo sicuri che fosse quella del governo Monti, un onesto neoliberista, la strada migliore? C’era un’altra soluzione possibile? E quale eventualmente?
«Tra le possibili ipotesi di governo non ce n’era nemmeno una che rispondesse a quelle che io considero delle esigenze irrinunciabili. Per me, quindi, ogni problema politico è demandato alla conflittualità ed eventualmente alla negoziazione fra le istanze del movimento e del sindacato e le politiche del governo».
Ma c’è un margine per la negoziazione?
«Certo. Questo, come tutti i governi, si può condizionare con dei movimenti. Il problema è che non esistono attualmente le forze in grado di rappresentarne le istanze».
Quando è nato il governo Monti qualcuno ha parlato di sospensione della democrazia, altri addirittura di golpe, altri ancora di governo commissariato dalla Banca centrale europea. Qual è il suo parere?
«Secondo me la democrazia è già stata sospesa nel 2005, quando è stata votata e sottofirmata dal Presidente della Repubblica la legge elettorale Calderoli, il “Porcellum” come viene comunemente chiamata, che io considero totalmente anticostituzionale e antidemocratica. Da quel momento in poi i rappresentanti del popolo sono stati nominati e non più eletti, così è venuta meno ogni possibilità di rappresentatività del Parlamento».
Le ricette che ci impongono Bce e Commissione europea assomigliano, drammaticamente, ai cosiddetti “aggiustamenti strutturali”, cui il Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale sottopongono i paesi poveri.
«Non solo l’Italia, ma anche l’Europa si sta progressivamente allineando a quelle che sono le condizioni tradizionali del Terzo mondo. E cioè una totale subordinazione economica e politica alla finanza internazionale, che in questo caso è intermediata dalla Banca centrale europea. Ma almeno altri due importanti aspetti evidenziano questa nostra omologazione verso il basso».
Quali?
«Da un lato, il divario crescente fra i redditi più alti e quelli più bassi, con una estrema concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi. E, dall’altro, l’intervento diretto delle forze armate, ed è un elemento da non sottovalutare, per imporre la realizzazione di opere di carattere devastante e a fortissimo impatto ambientale. Nel Terzo mondo riguardano pozzi petroliferi, metaniferi, dighe e grandi infrastrutture. In Italia da un po’ di tempo utilizziamo le forze armate per difendere, contro la popolazione, impianti come l’inceneritore di Napoli o il cantiere della Tav in Piemonte».
Che senso ha oggi parlare di crescita senza tener conto che le risorse del pianeta sono limitate e che non si può quindi continuare a consumarle all’infinito?
«No, non si può continuare a parlare di crescita da un punto di vista ambientale. È noto infatti che il pianeta ha risorse finite e il progetto di crescita non ne tiene conto. Meno che mai ha senso parlarne oggi in Italia e in Europa da un punto di vista economico, cioè prendendo come punto di riferimento il Pil. Il nostro paese infatti è ufficialmente entrato in recessione, gli altri stati europei non stanno molto meglio di noi, gli Usa sono bloccati e perfino i paesi emergenti stanno attraversando una fase di ripiegamento. Insomma, anche ipotizzando gli interventi più radicali, in Italia non ci sono le condizioni per sperare di rimettere in moto un processo di crescita del Pil per almeno i prossimi dieci anni».
Insomma, siamo destinati a finire nel baratro? Non ci sono soluzioni?
«L’unica strada possibile è quella di aggredire frontalmente il debito, che non è più un problema soltanto italiano ma riguarda quasi tutti i paesi europei, compresa la Germania che comincia ad avere qualche difficoltà a piazzare i suoi bund».
In concreto, cosa dobbiamo fare?
«Occorre impegnarsi a sgonfiare, attraverso un processo negoziale, la bolla finanziaria che condiziona tutte le attività economiche. E puntare, anziché sulla crescita, sulla riconversione produttiva, che significa privilegiare le produzioni ambientalmente sostenibili e caratterizziate da un decentramento che consenta una maggiore partecipazione della popolazione dei diversi territori».
Il professor Emiliano Brancaccio sostiene che bisogna subito riaprire una trattativa con la Germania, perché il fallimento di alcuni paesi europei, tra cui l’Italia, farebbe saltare il mercato comune. E ciò danneggerebbe molto le imprese tedesche che esportano soprattutto in Europa.
«Sì, bisognerebbe riaprire le trattative con la Germania, ma non penso che l’attuale governo sia adeguato e abbia la cultura necessaria per farlo. È molto più probabile è un default, più o meno vicino, dell’economia italiana e di molti altri paesi europei destinati a cadere come birilli. Se ciò non avverrà, sarà per un intervento autoritario della Germania sulla Bce, che sarebbe ovviamente la soluzione preferibile, anche se non avrebbe nulla a che fare con una negoziazione…».
In che modo dovrebbe esplicitarsi questo intervento della Germania sula Bce?
«Le soluzioni sul tappeto sono tantissime. Potrebbe trattarsi di un maggior intervento del Fondo sal-Stati, di un prestito del Fondo monetario, di emissioni di Bot, oppure di una modifica dello statuto della Bce per consentirle di comprare una certa quota di debiti dei paesi membri. Ma sono tutte misure temporanee che hanno poco a che fare con il cuore del problema, cioè l’esistenza di una bolla finanziaria di dimensioni immense che continuerà a condizionare le politiche europee finché non verranno adottate le misure necessarie per ridurla drasticamente. E questo non mi sembra nelle corde e nelle intenzioni degli attuali governi, né in Italia né all’estero».
Sbilanciamoci nella sua contro-finanziaria suggerisce alcune scelte importanti tra cui il taglio delle spese militari, la patrimoniale e la rinuncia alle grandi opere in favore di interventi più piccoli, come il riassetto de territorio, la messa a norma degli edifici scolastici e così via. Concorda con questa impostazione?
«Assolutamente sì. Sono tutte misure sacrosante. Il problema è che le piccole opere sul territorio necessitano di una programmazione decentrata che attualmente non c’è e che bisogna quindi mettere in moto. E poi il programma di Sbilanciamoci, che io condivido pienamente, non fa i conti a sufficienza con il problema del debito. Con il fatto, cioè, che ogni anno dobbiamo pagare 70-80 miliardi di euro di interessi, senza dimenticare quella mole di debito di 1900 miliardi che, se non verrà ridotta in maniera drastica, continuerà a pesare in maniera decisiva su qualsiasi possibilità di manovra di questo o di ogni futuro governo».
E cosa dovremmo fare per ridurre questo debito enorme?
«Quelle manovre che si chiamano ristrutturazione del debito. Si va dalla sospensione del pagamento degli interessi, al prolungamento della scadenza dei buoni emessi, a una ristrutturazione selettiva che colpisca maggiormente gli investimenti di carattere speculativo e salvaguardi nella misura del possibile i piccoli e medi risparmiatori. E infine c’è l’annullamento tout-court del debito, cioè il default, che avrebbe conseguenze drammatiche sul sistema economico non solo italiano ma europeo e mondiale. Ma che mi sembra la soluzione verso cui, volenti o nolenti, è diretta la politica di tutti quei governi che non tengono conto della drammaticità della situazione in cui ci troviamo».
“Italia a posto entro tre mesi” strillava l’ex ministro Brunetta in una intervista al Giornale del 10 agosto scorso. E Berlusconi, solo qualche giorno prima di dimettersi, aveva garantito che nel paese non c’era alcuna crisi in atto, tanto è vero che «i ristoranti sono sempre pieni». Balle stratosferiche di questa portata ci sono state raccontate per anni. E mentre l’Italia stava sprofondando, la grande informazione continuava a propinarci storie di “olgettine”, di improbabili nipoti di Mubarak e di performance sessuali del nostro presidente del consiglio. Il risveglio, dopo questo lungo letargo della ragione, è stato terribile. I cittadini hanno scoperto con sgomento misto a incredulità che il paese è entrato in recessione (il Pil non cresce) e che ora rischia seriamente la bancarotta. E che forse neanche un governo di tecnici al quale in tanti, a destra come a sinistra, si aggrappano, possa salvarci dal disastro.
Abbiamo parlato della difficile e complessa situazione in cui ci troviamo con Guido Viale, economista esperto di questioni ambientali.
Siamo sicuri che fosse quella del governo Monti, un onesto neoliberista, la strada migliore? C’era un’altra soluzione possibile? E quale eventualmente?
«Tra le possibili ipotesi di governo non ce n’era nemmeno una che rispondesse a quelle che io considero delle esigenze irrinunciabili. Per me, quindi, ogni problema politico è demandato alla conflittualità ed eventualmente alla negoziazione fra le istanze del movimento e del sindacato e le politiche del governo».
Ma c’è un margine per la negoziazione?
«Certo. Questo, come tutti i governi, si può condizionare con dei movimenti. Il problema è che non esistono attualmente le forze in grado di rappresentarne le istanze».
Quando è nato il governo Monti qualcuno ha parlato di sospensione della democrazia, altri addirittura di golpe, altri ancora di governo commissariato dalla Banca centrale europea. Qual è il suo parere?
«Secondo me la democrazia è già stata sospesa nel 2005, quando è stata votata e sottofirmata dal Presidente della Repubblica la legge elettorale Calderoli, il “Porcellum” come viene comunemente chiamata, che io considero totalmente anticostituzionale e antidemocratica. Da quel momento in poi i rappresentanti del popolo sono stati nominati e non più eletti, così è venuta meno ogni possibilità di rappresentatività del Parlamento».
Le ricette che ci impongono Bce e Commissione europea assomigliano, drammaticamente, ai cosiddetti “aggiustamenti strutturali”, cui il Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale sottopongono i paesi poveri.
«Non solo l’Italia, ma anche l’Europa si sta progressivamente allineando a quelle che sono le condizioni tradizionali del Terzo mondo. E cioè una totale subordinazione economica e politica alla finanza internazionale, che in questo caso è intermediata dalla Banca centrale europea. Ma almeno altri due importanti aspetti evidenziano questa nostra omologazione verso il basso».
Quali?
«Da un lato, il divario crescente fra i redditi più alti e quelli più bassi, con una estrema concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi. E, dall’altro, l’intervento diretto delle forze armate, ed è un elemento da non sottovalutare, per imporre la realizzazione di opere di carattere devastante e a fortissimo impatto ambientale. Nel Terzo mondo riguardano pozzi petroliferi, metaniferi, dighe e grandi infrastrutture. In Italia da un po’ di tempo utilizziamo le forze armate per difendere, contro la popolazione, impianti come l’inceneritore di Napoli o il cantiere della Tav in Piemonte».
Che senso ha oggi parlare di crescita senza tener conto che le risorse del pianeta sono limitate e che non si può quindi continuare a consumarle all’infinito?
«No, non si può continuare a parlare di crescita da un punto di vista ambientale. È noto infatti che il pianeta ha risorse finite e il progetto di crescita non ne tiene conto. Meno che mai ha senso parlarne oggi in Italia e in Europa da un punto di vista economico, cioè prendendo come punto di riferimento il Pil. Il nostro paese infatti è ufficialmente entrato in recessione, gli altri stati europei non stanno molto meglio di noi, gli Usa sono bloccati e perfino i paesi emergenti stanno attraversando una fase di ripiegamento. Insomma, anche ipotizzando gli interventi più radicali, in Italia non ci sono le condizioni per sperare di rimettere in moto un processo di crescita del Pil per almeno i prossimi dieci anni».
Insomma, siamo destinati a finire nel baratro? Non ci sono soluzioni?
«L’unica strada possibile è quella di aggredire frontalmente il debito, che non è più un problema soltanto italiano ma riguarda quasi tutti i paesi europei, compresa la Germania che comincia ad avere qualche difficoltà a piazzare i suoi bund».
In concreto, cosa dobbiamo fare?
«Occorre impegnarsi a sgonfiare, attraverso un processo negoziale, la bolla finanziaria che condiziona tutte le attività economiche. E puntare, anziché sulla crescita, sulla riconversione produttiva, che significa privilegiare le produzioni ambientalmente sostenibili e caratterizziate da un decentramento che consenta una maggiore partecipazione della popolazione dei diversi territori».
Il professor Emiliano Brancaccio sostiene che bisogna subito riaprire una trattativa con la Germania, perché il fallimento di alcuni paesi europei, tra cui l’Italia, farebbe saltare il mercato comune. E ciò danneggerebbe molto le imprese tedesche che esportano soprattutto in Europa.
«Sì, bisognerebbe riaprire le trattative con la Germania, ma non penso che l’attuale governo sia adeguato e abbia la cultura necessaria per farlo. È molto più probabile è un default, più o meno vicino, dell’economia italiana e di molti altri paesi europei destinati a cadere come birilli. Se ciò non avverrà, sarà per un intervento autoritario della Germania sulla Bce, che sarebbe ovviamente la soluzione preferibile, anche se non avrebbe nulla a che fare con una negoziazione…».
In che modo dovrebbe esplicitarsi questo intervento della Germania sula Bce?
«Le soluzioni sul tappeto sono tantissime. Potrebbe trattarsi di un maggior intervento del Fondo sal-Stati, di un prestito del Fondo monetario, di emissioni di Bot, oppure di una modifica dello statuto della Bce per consentirle di comprare una certa quota di debiti dei paesi membri. Ma sono tutte misure temporanee che hanno poco a che fare con il cuore del problema, cioè l’esistenza di una bolla finanziaria di dimensioni immense che continuerà a condizionare le politiche europee finché non verranno adottate le misure necessarie per ridurla drasticamente. E questo non mi sembra nelle corde e nelle intenzioni degli attuali governi, né in Italia né all’estero».
Sbilanciamoci nella sua contro-finanziaria suggerisce alcune scelte importanti tra cui il taglio delle spese militari, la patrimoniale e la rinuncia alle grandi opere in favore di interventi più piccoli, come il riassetto de territorio, la messa a norma degli edifici scolastici e così via. Concorda con questa impostazione?
«Assolutamente sì. Sono tutte misure sacrosante. Il problema è che le piccole opere sul territorio necessitano di una programmazione decentrata che attualmente non c’è e che bisogna quindi mettere in moto. E poi il programma di Sbilanciamoci, che io condivido pienamente, non fa i conti a sufficienza con il problema del debito. Con il fatto, cioè, che ogni anno dobbiamo pagare 70-80 miliardi di euro di interessi, senza dimenticare quella mole di debito di 1900 miliardi che, se non verrà ridotta in maniera drastica, continuerà a pesare in maniera decisiva su qualsiasi possibilità di manovra di questo o di ogni futuro governo».
E cosa dovremmo fare per ridurre questo debito enorme?
«Quelle manovre che si chiamano ristrutturazione del debito. Si va dalla sospensione del pagamento degli interessi, al prolungamento della scadenza dei buoni emessi, a una ristrutturazione selettiva che colpisca maggiormente gli investimenti di carattere speculativo e salvaguardi nella misura del possibile i piccoli e medi risparmiatori. E infine c’è l’annullamento tout-court del debito, cioè il default, che avrebbe conseguenze drammatiche sul sistema economico non solo italiano ma europeo e mondiale. Ma che mi sembra la soluzione verso cui, volenti o nolenti, è diretta la politica di tutti quei governi che non tengono conto della drammaticità della situazione in cui ci troviamo».