Io portavoce…
Dato che per motivi tecnici il mio intervento (insieme a quelli di molti altri) non compare sul web, riporto qui la scaletta che avevo preparato (in corsivo le parti che per motivi di tempo non sono riuscito a sviluppare).
Sono stato nominato (via mail) portavoce di un gruppo di 46 volontari impegnati nel sociale, molti dei quali sono entrati in politica con la lista Tsipras e poi sono “scappati (testuale) per assoluta mancanza di trasparenza”. Io non conosco quelle 46 persone e non so nemmeno se esistono realmente, come non conosco quasi nessuno delle 944 persone che , come ci ha tempestivamente comunicato Torelli, hanno aderito al manifesto “siamo a un bivio”. Ma a tutti dico benvenuti tra noi!
Le persone di cui sono portavoce chiedono tre cose: 1. Parlare in modo semplice, chiaro e breve; 2. essere inclusivi e non esclusivi, che vuol dire censirsi e votare; 3. Costruire l’organizzazione su iniziative sociali concrete e dal basso, come ha fatto Syriza. Di qui in poi i pensieri sono i miei:
• Si dice spesso che dobbiamo ancora radicarci nella società, ma questo non vuol dire andare a distribuire volantini alle fabbriche e nei mercati (si deve fare anche questo) ma metterci in rapporto con le organizzazioni che nella società sono già in parte radicate, Fiom, rsu, sindacati di base, comitati, associazioni, centri sociali, circoli culturali, movimenti per la casa, ecc. Non la pensano come noi? E’ vero, ma abbiamo comunque degli obiettivi in comune, e da questi dobbiamo partire. Questo riguarda soprattutto i movimenti per la casa e contro gli sfratti. Podemos è cresciuta tanto perché dal 2011 ad oggi il movimento M15 si è sempre mobilitato per impedire gli sfratti. Il nuovo movimento croato “barriera umana” anche. Invece, in un comitato di Milano, città dove c’è una grande mobilitazione dei centri sociali contro gli sfratti, ho sentito dire che noi siamo contro le occupazioni perché sono illegali. Credo che questo sia dovuto alla volontà di non entrare in conflitto con Pisapia, che in oltre due anni non ha fatto niente per chi è senza casa o per risanare le scuole che crollano, per concentrare tutti gli sforzi sull’Expò, un’iniziativa contro cui oggi è in corso un grande convegno internazionale a cui partecipa la nostra ex candidata Dosio.
• Non ho firmato nessuno dei due manifesti. Li trovo entrambi brutti. Rivolti all’esterno, non scaldano i cuori. Rivolti all’interno, non fissano regole democratiche per il nostro funzionamento. Quello “Noi” le esplicita nella carta di accreditamento (le condivido), ma riguardano solo il nostro funzionamento interno e non i nostri rapporti con altre organizzazioni (sia movimenti o comitati che partiti). Non si può parlare di processo costituente senza avanzare una proposta anche su queste regole. O vogliamo che ce le dettino gli altri?
• Siamo partiti per fare grandi cose: 1. Mettere l’Europa al centro del discorso e del programma a tutti i livelli, anche quelli locali; 2. Individuare in Tsipras e Syriza il grimaldello che avrebbe messo in crisi il governo della società fondato su debito, austrity e larghe intese; 3. Presentare una lista aperta e non fondata su accordi tra vertici e riproposizione di apparati. Abbiamo avuto ragione su tutti e tre i punti. Poi abbiamo cominciato a dissipare quel patrimonio. Perché? Per la nostra litigiosità e quella di tutte le forze di sinistra, risponde Revelli. Vero, ma non solo. Soprattutto per responsabilità di chi ha governato l’organizzazione fino ad ora (me compreso, anche se sempre in posizione di dissenso).
In particolare:
• 1. Il comitato operativo ha sostanzialmente chiuso il sito e l’intervento sui social network (riaperto solo pochi giorni fa per l’assemblea). Così nessuno ha saputo più niente di noi (i media ci ignorano); 2. Non c’erano i soldi per farlo? Non si è voluta confermare o riaprire la sottoscrizione (che in campagna elettorale aveva fruttato 180.000 euro anche senza il contributo di Sel) e molti di più a livello locale. D’altronde compagni disposti a tenere aperti sito e social network gratis, diversi dalla vecchia “commissione comunicazione”, c’erano, ci sono e non sono stati utilizzati; 3. È stato chiuso il discorso sulle regole, ovvero sulla nostra organizzazione interna; così siamo arrivati a questa assemblea dicendo che non si può votare perché non siamo organizzati: grazie tanto!; 4. Non si è fatto niente di serio per far partire i gruppi di lavoro. L’unico che ha funzionato (per propria iniziativa) è quello Mediterraneo ed emigrazione. Il che dimostra che avremmo potuto fare molto di più; 4. Anche e soprattutto per questo è stata lasciata perdere tutta l’intellettualità che a maggio si era raccolta intorno alla nostra lista, compresi i nostri candidati. Di entrambi qui non c’è quasi più nessuno; 5. La “vita” dell’Altra Europa è stata così ridotta a un comitato operativo “fantasma” e a due mailing list litigiose (ci siamo tirati mattoni in testa, come scrive Domenico Di Leo) che hanno coinvolto non più di una cinquantina di persone. Tutti gli altri non sanno quasi più niente di noi ; 6. È stato completamente trascurato il coordinamento tra i superstiti comitati: in nessuno di essi, da un capo all’altro della penisola, si sa niente di che cosa fanno e pensano tutti gli altri; 7. Sono state ignorate (per non dire boicottate) le due liste regionali che, indipendentemente dai risultati conseguiti, sono state in entrambi i casi un importante momento di aggregazione di forze e di conoscenza delle nostre idee (hanno “tenuto in vita” la lista Tsipras, a differenza della manifestazione nazionale del 29.11, a lungo contrapposta, come iniziativa centrale alla dispersione delle liste regionali, e che si è rivelata un più che previsto fiasco).
• Dobbiamo riprendere a pensare e a lavorare in grande. Il mondo e l’Europa stanno cambiando rapidamente. Oltre ad affiancare Syriza e Podemos nella lotta contro debito, austerity e larghe intese, dobbiamo riprendere i temi centrali del nostro impegno iniziale: 1. La conversione ecologica e il piano per creare milioni di posto di lavoro; 2. La lotta contro la precarietà e per il reddito garantito; 3. La lotta contro il razzismo, la difesa dei migranti, la costruzione di una comunità solidale intorno al Mediterraneo. Non sviluppo questi temi perché altrove ho scritto molto su di essi e abbiamo al nostro interno straordinarie competenze per portarli avanti.
• Un quarto tema avrei voluto introdurre. Per tutti noi (maschi) incuriositi, affascinati e anche duramente colpiti dalla rivoluzione femminista, è sempre stato un problema integrare quello che ne avevano capito nella nostra prassi politica, Ogni volta che scriviamo un articolo, un documento o facciamo un intervento veniamo bacchettati perché “manca la dovuta attenzione al genere”. Come uscirne? Non certo scimmiottando un punto di vista femminile. Come dalle primavere araba (poi represse) è venuto lo stimolo all’acampada 15M, a Occupy Wall Stree e the World, a Podemose e Syriza, così oggi dalla comune democratica e federalista del Rojawa (cioà sempre da un mondo che è fuori dei confini dell’Europa) ci viene l’indicazione di un vero autogoverno, di una condivisione dei beni e degli oneri su cui si fonda la vita associata, a partire dall’autodifesa, fondata su una grande parità di genere proprio nel cuore di guerra, regimi e culture che del dominio dell’uomo sulla donna fanno la posta in gioco della loro offensiva. Non saranno le portaerei di Hollande e le bombe a scalzare quei regimi e la minaccia terroristica che incombe sull’Europa; bensì la diffusione delle pratiche sviluppate nel Rojawa. E’ questo che lega anche qui la lotta contro le diverse sfaccettature del potere patriarcale a quella contro il governo dispotico della società, che fa del richiamo ai valori tradizionali della “famiglia”, da un lato, e al sessismo più sfrenato, dall’altro (entrambi fondati sullo sfruttamento e il dominio dell’uomo sulla donna), il puntello del suo potere.
• Non ci dobbiamo perdere in dispute e accanimenti reciproci. Possiamo anche non votare ma non possiamo accettare che a rappresentarci e a decidere per noi siano sempre le stesse e gli stessi, che non hanno mai sottoposto il loro ruolo a una verifica democratica. Per questo, in attesa che si possa legittimamente votare in tutti i nostri comitati, è indispensabile adottare un principio di rotazione per cui almeno la metà di coloro che hanno partecipato ai precedenti comitati operativi ceda il posto a delle persone nuove che portino in essi un po’ di aria fresca. Io per primo mi attengo a questa regola e, come ho già comunicato, non accetterò più cariche di responsabilità. Questo non farà venir meno il mio impegno e il mio contributo a questa comunità e così penso dei compagni e delle compagne che accettassero di mettersi da parte.
Complessivamente penso che quella di sabato 17 sia stata una bella assemblea, conclusa molto male, come era prevedibile e previsto, con l’autoriconferma nel cosiddetto comitato di transizione, di tutti coloro che evidentemente si ritengono indispensabili nel ruolo e nelle responsabilità che hanno ricoperto. Per ottenere questo scopo la riunione è stata portata avanti fino allo sfinimento (ore 23 e non più di 50 persone su oltre 700 partecipanti; e questo invece di prolungare il dibattito il giorno dopo, come era stato stabilito e rimasto inteso fin dal 19 luglio scorso: in fin dei conti i 400 di domenica sono meglio dei 50 di sabato notte!)) e nonostante due tentativi di condivisione, a cui io stesso sono stato chiamato, per promuovere una unificazione dei due documenti e un comitato transitorio che rispettasse gli umori dell’assemblea (gli applausi dati ai passaggi fortemente critici nei confronti del comitato operativo non avrebbero dovuto lascia dubbi in proposito) sono stati mandati a monte per l’assoluta indisponibilità dei rappresentanti del manifesto “siamo a un bivio” di cedere su alcunché. Usciamo da quest’assemblea con un “comitato di transizione” che si è dato mano libera nei rapporti con altre organizzazioni con cui ha dichiarato di voler confluire in un progetto comune dal profilo del tutto indefinito e senza la possibilità di poterci pronunciare su di essi. Si pronuncerà al nostro posto una platea ben più vasta di “aderenti” all’uno o all’altro dei due manifesti, o a qualcuno degli emendamenti proposti, che, se non troveranno un ancoraggio nei comitati territoriali – come era avvenuto nel periodo elettorale – corrono il rischio di essere trasformati in massa di manovra per gruppi di vertice (sia nostri che altrui) già ben strutturati.
Non è questa la strada seguita da Podemos.