Il pareggio di bilancio (LEFT 7.9.2013)
Il pareggio di bilancio che il Parlamento ha introdotto con tanta leggerezza nella Costituzione – blindandolo con una maggioranza che una volta si chiamava “bulgara” per non sottoporlo a referendum popolare – ha queste conseguenze: per ogni nuova spesa – per esempio aerei F35 o TAV Torino-Lione – od ogni riduzione delle tasse – per esempio esenzione dall’IMU di ville e case di lusso, come voleva Berlusconi – bisogna tagliare qualcos’altro di pari importo. E poiché le pensioni (tranne quelle d’oro, che non si toccano!) sono già state spolpate, il nuovo “pozzo di San Patrizio” sono le dotazioni di Comuni e Ministeri: personale e risorse. Ma se tagli troppo sul personale, chi mai gestirà i fondi per fare ciò che ogni ente deve fare? E se tagli troppo sulle risorse, mancheranno i mezzi per fare le cose da fare. Soluzione? La spending review: ente per ente, ministero per ministero, ufficio per ufficio, si va a vedere che cosa è indispensabile e che cosa no; e chi è indispensabile e chi no. E si elimina quello e quelli non indispensabili. Già. Ma chi decide? I dirigenti? Sono proprio loro a gonfiare il fabbisogno di personale, di uffici, di fondi, di competenze, di consulenti; perché più fondi, dipendenti e metri quadri di uffici e scrivanie hai, più conti. Un team di consulenti ben pagati? Ci aveva già provato decenni fa una tal Commissione Giannini: ma i meandri della Pubblica amministrazione sono così contorti che venirne a capo è stato impossibile. La soluzione l’ha trovata Tremonti: “tagli lineari”. Cioè ridurre fondi e personale in misura uguale per tutti gli enti coinvolti (tutti, tranne, ovviamente, il Ministero della Difesa: il budget per le armi aumenta ogni anno). E poi… Se la vedano loro! I risultati sono stati tragici: dirigenti, assessori e ministri hanno chiuso servizi essenziali e gonfiato spese insensate. Monti, poi, ha rifatto la stessa cosa: prima con un decreto, poi affidando al “mago” Bondi (quello che i guai dell’Ilva e di Taranto sono colpa delle sigarette…) il compito di portarla a termine. Risultati zero. Adesso se ne occupa Letta, e saranno altri disastri.
Perché gli unici che sanno chi lavora e chi no (ci sono anche quelli) negli uffici e nei servizi sono gli addetti e gli utenti. Senza consultarli e dar loro il potere di proporre e decidere dove chiudere un servizio inutile, dove ampliare quelli utili, dove trasferire personale e risorse – e come – non se ne verrà a capo. E’ la democrazia partecipata. Ma finirebbero per approfittarne…direte voi. E i dirigenti, allora? Loro non ne approfittano? La verità è che in un caso abbiamo una trasparenza totale della spesa e responsabilizzazione: l’essenza della democrazia. Nell’altro, carrierismo e servilismo (due cose tra loro strettamente legate): la quintessenza del dispotismo e dell’inefficienza.