Risposta a una lettera pubblicata sul Manifesto
Anche io auspico, e non da ora, una società dove tutti lavorino e si lavori meno; e dove i lavori pesanti e ingrati vengano distribuiti a turno.
Quella società lo Stato che pianifica l’economia non la ha mai realizzata – e neanche tentata – né nella versione “stalinista” dello Stato monopolista, né in quella “socialdemocratica”, che combina Stato e mercato nel governo dell’economia. Questo non vuol dire che nel capitalismo si viva meglio (né ora né in passato; un’”epoca d’oro del capitalismo” per me non è mai esistita).
Vuol dire semplicemente che occorre esplorare nuove vie e che, forse, al concetto di “piano” come governo dell’economia va dato un altro significato: non il controllo, e nemmeno la “direzione”, dello Stato sui processi produttivi, ma soluzioni e sistemi di gestione in continua ridefinizione, fondati sulla condivisione, sulla partecipazione e sulla negoziazione, che potenzino e valorizzino il bisogno e la capacità dei membri di una comunità di associarsi tra loro liberamente. Anche solo riconoscere ed evidenziare queste potenzialità in molti processi in corso è un passo avanti. Infine, io sui ponteggi non ho mai lavorato; ma se non avere le mani callose dovesse togliere a qualcuno il diritto di parola, forse persino la redazione del manifesto, e con lei questo giornale, dovrebbero scomparire.
Ovviamente non sono d’accordo (G.V.)