Papa Francesco, un passo falso.
Sabato 13.10 ho avuto la fortuna di partecipare allo straordinario corteo di Nonunadimeno contro la delibera comunale che ha proclamato Verona “città della vita”. Il successo dell’iniziativa, quasi ignorata dai media, mi conferma nella convinzione che i movimenti delle donne costituiscono oggi uno dei nuclei fondamentali di resistenza all’ondata reazionaria, autoritaria e razzista che sta investendo non solo il nostro paese, ma un po’ tutto il mondo. Lo sono sia per la loro dimensione internazionale, che è l’unico terreno su cui oggi si possono intraprendere delle battaglie vincenti, sia, soprattutto perché in questa come in altre mobilitazioni indette da donne, il bersaglio, pienamente centrato, è la restaurazione della famiglia patriarcale come vincolo all’autonomia della persona e modello per riaffermare la sacralità del “terribile diritto” di proprietà: innanzitutto del “capofamiglia” sulle proprie donne (quasi sempre più di una, ancorché tenute nascoste, anche nelle famiglie più tradizionali); ma modello anche di tutte le altre forme di proprietà, compresa quella sulla “propria” patria (termine la cui allitterazione con patriarcato non è casuale, come è già stato fatto notare); ciò che fa dello straniero, del migrante, del profugo un nemico contro cui muovere guerra senza alcuna pietà per la sorte a cui lo si condanna. Ma in quel modello c’è l’essenza stessa del patriarcatocome cornice irrinunciabile dello “sfruttamento dell’uomo sull’uomo”, e sulla donna, sul vivente, sulla Terra. E’ questa la radice profonda che collega – non solo idealmente, ma in molti casi anche in vie di fatto – le battaglie di Nonunadimeno alle tante forme di solidarietà nei confronti dei migranti che sono oggi, benché con obiettivi e prospettive meno chiari e definiti, l’altra delle due principali forme di resistenza e opposizione all’ondata montante di una cultura, una società e dei governi autoritari, reazionari e razzisti: in un contesto in cui i partiti che avrebbero dovuto lottare contro sfruttamento e dispotismo stanno registrando la bancarotta.
Questa convinzione mi induce a una ferma presa di posizione contro le recenti dichiarazioni di papa Francesco in tema di aborto. Quando è stata pubblicata l’enciclica Laudato sì non era stato difficile, a me come a molti altri e altre, riconoscere in questo documento un testo di eccezionale valore per il modo in cui giustizia sociale e giustizia ambientale (quella nei confronti della Terra e del vivente) vengono associate in un approccio esauriente e profondo che ribalta irrevocabilmente secoli di cultura antropocentrica. Il tutto rafforzato dall’autorità di un pontefice che nei discorsi rivolti ai movimenti popolari che hanno sia preceduto che seguito quell’enciclica, ma soprattutto nella difesa strenua dei migranti di fronte alla guerra di cui sono bersaglio, si era guadagnato per molti di noi – compreso il manifesto – un ruolo di punto di riferimento. Ciò mi aveva indotto, insieme a un gruppo di persone che condividevano questo giudizio, a impegnarmi nella costituzione di un’associazione (Laudato sì, alleanza per il clima, la Terra e la giustizia sociale) che ha come scopo la divulgazione e l’applicazione dei temi fondamentali trattati in questa enciclica, valendosi di questo “passaporto” per entrare in ambienti, sia cristiani che laici, altrimenti preclusi a una politica radicale.
Non mi era sfuggita, fin dall’inizio, la presenza di cenni a posizioni che contrastano radicalmente con la mia cultura atea e libertaria, né l’avevo taciuta: “anche se questa accortezza – quella di usare il termine essere umano in luogo di uomo per non escludere la donna, scrivevo allora su il manifesto – non le [all’enciclica] impedisce poi di pronunciarsi con ostinazione contro la cosiddetta teoria del genere, così come fa contro l’aborto (ma non, va notato, contro la libertà di decidere della propria morte). Sono però questi i temi – aggiungevo – cui si appigliano il cattolicesimo e il protestantesimo più retrivi per continuare a fare della religione un puntello della conservazione”. Nessuno di noi ha mai pensato che Francesco potesse cambiare idea sull’aborto, anche se molti di noi considerano quella condanna la manifestazione di un approccio apertamente patriarcale e di un avallo della struttura maschilista di tutta la gerarchia ecclesiastica e vaticana. Ma i termini di recente dal papa sono inaccettabili e inficiano gravemente il suo magistero. Trattare da assassine le donne che vivono un dramma esistenziale profondo e da sicari i medici che per aiutarle sacrificano la loro carriera (per far fare carriera ai tanti obiettori per mero opportunismo, che non a caso si moltiplicano come un virus) ha il sapore di un hate speech; come quelli che pullulano nei social ad opera dei fan di Salvini e della sua macchina da guerra.
E’ stata quella un’uscita a gamba tesa “alla Minniti”, riteneva e sosteneva che anticipando e gestendo in proprio la guerra ai migranti propugnata da Salvini e dalle destre avrebbe tolto loro spazio e peso; mentre, oltre al cinismo di cui ha dato prova, non ha fatto in realtà che spianar loro la strada. Così anche Francesco, nel tentativo malaccorto di sottrarre alle forze conservatrici, reazionarie e anche razziste che allignano nella chiesa e in Vaticano, l’arma con cui, fin dal suo inizio, ne avevano messo in discussione il pontificato, non ha fatto in realtà che consegnare il suo profilo, il suo magistero e i suoi seguaci, ai suoi avversari (che sono anche nemici dei migranti e della convivenza con loro). Così, senza che ciò riduca la validità dei contenuti centrali dell’enciclica Laudato sì e il nostro impegno a divulgarli, in questi giorni abbiamo forse perso, o dimezzato, un riferimento importante delle nostre battaglie; ma ne stiamo ritrovando nei movimenti delle donne uno su cui possiamo invece contare sempre di più tutti quanti, donne e uomini.