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Manutenzione e riparazione

Inserito da on Luglio 7, 2021 – 3:29 pmNo Comment

Da almeno cento anni l’accumulazione del capitale, quello che ora si chiama “crescita” e che sta al centro delle preoccupazioni di economisti, politici, manager e imprenditori, si regge sui mercati di sostituzione nel campo dei beni cosiddetti “durevoli”: non tanto l’acquisto di cose nuove – si ha già quasi tutto l’essenziale, e anche di più – ma l’acquisto di nuovi modelli o nuove versioni di quello che già si ha. Il meccanismo che alimenta questi mercati si chiama obsolescenza programmata: rendere “superato” un prodotto per indurre a sbarazzarsene e procurarsene una nuova versione. Questo meccanismo si basa fondamentalmente su tre accorgimenti: 1. Far durare poco le cose in modo che si guastino e non funzionino più nel più breve tempo possibile. Di questa soluzione fanno parte tutti i cosiddetti prodotti monouso o usa e getta, tra i principali dei quali rientra sicuramente la maggior parte degli imballaggi che oggi costituiscono la componente principale dei rifiuti di origine urbana. 2. Rendere difficile o impossibile ripararle quando si guastano, far mancare o vendere a caro prezzo e parti di ricambio e rendere difficile o impossibile smontarle per sostituirne le componenti guaste: 3. Svalorizzarle attraverso l’innovazione incorporata nelle nuove versioni. Attraverso la moda e il suo continuo cambiamento quando in ballo è la dimensione estetica del prodotto; attraverso la tecnologia, offrendo prestazioni più ampie (e spesso inutili o inutilizzabili) che rendono però impossibile l’uso della precedente versione del prodotto.

Questi tre meccanismi hanno in gran parte “messo fuori gioco” il mondo della manutenzione e della riparazione che dovrebbe invece essere il cuore di una società sostenibile. In molti campi gli addetti a queste funzioni sono sempre meno e sempre più cari.

Così l’obsolescenza programmata si traduce in un continuo aumento della produzione di scarti, e, conseguentemente, di rifiuti. Proprio per contenere la produzione di rifiuti – e non certo per ridurre la corsa ai consumi – si è giunti a cercare di metterla sotto controllo: a valle della produzione e del consumo, con una certa promozione del riuso e dei mercati dell’usato. A monte, con una normativa che per certe categorie di prodotti, mira a ridurne gli effetti. Notevole da questo punto di vista è una legge francese, in vigore dal 1.1.2021, che obbliga a evidenziare sull’etichetta di alcune categorie di prodotti, con un punteggio da 1 a 10, la robustezza dell’articolo, la sua probabile durata, la sua riparabilità, la facilità nel trovare pezzi di ricambio.

Ma se invece di guardare al problema dalla parte dei rifiuti, del fine vita del prodotto, lo guardiamo dal punto di vista della sua potenziale utilità sociale, appare evidente che, tra il suo uso/utilizzo iniziale e l’eventuale riuso/riutilizzo dopo essere stato venduto sul mercato dell’usato acquista, un ruolo centrale spetta proprio la figura del manutentore/riparatore. Manutenzione vuol dire far durare; riparazione, rimettere in vita un prodotto morto; ma anche aggiornare, con nuove componenti, un prodotto “vecchio”.

Naturalmente, nel mercato dell’usato, a monte della riparazione ci vogliono delle professionalità in grado di valutare e selezionare i prodotti, i componenti e i materiali ancora riutilizzabili e, a valle, una rete di venditori dell’usato si “generici” che specializzati. Si tratta, in tutti i casi, di mestieri differenti

Nel ruolo del manutentore/riparatore sono centrali tre aspetti, tre “virtù”: 1. Una forte competenza tecnica, che in parte si può acquisire attraverso processi formali di istruzione e addestramento, ma in cui conta molto anche l’esperienza e “l’affiancamento” di una figura esperta. 2. Una grande manualità, il saper “mettere le mani” dentro l’oggetto, sia esso un abito, un mobile, un’apparecchiatura elettrica o elettronica”, ma anche un locale o un edificio (l’unico campo in cui sperimentiamo ancora capacità del genere è quello della manutenzione degli autoveicoli). 3. Una grande attenzione e, spesso, una vera e propria passione, per l’oggetto del proprio lavoro.

Ogni articolo da riparare, da aggiornare o su cui effettuare la manutenzione è diverso dall’altro per marca, modello, anno di produzione, anche quando si rimane all’interno della stessa tipologia merceologica. Questo crea una radicale difformità del lavoro artigianale del manutentore/riparatore, rispetto al lavoro seriale che, dal modello fordista ha dato il nome a un’intera epoca, che è caratterizzato dalla uniformità e ripetitività dei gesti applicati sempre allo stesso oggetto.

Con delle conseguenze importanti: 1. il fordismo o, meglio, il taylorismo, ha privato il lavoro esecutivo di tutta la sua intelligenza e comprensione del processo produttivo, trasferite e sequestrate dal management; 2. ha reso superflua, e poi proibito, la comunicazione tra gli addetti allo stesso impianto; 3. ha distrutto la manualità anche là dove c’era: molti addetti ad attività ripetitive della produzione di massa, prima di entrare in fabbrica, avevano un mestiere, imparato sul campo, che hanno disimparato; dopo 10 anni di catena di montaggio non sanno più fare niente; 4. ha allontanato anche di molto il luogo di lavoro dalla sede della vita quotidiana, la fabbrica o l’ufficio dal quartiere.

Questi caratteri sono in gran parte invertiti dal lavoro di manutenzione e riparazione, che richiede intelligenza e comprensione sia del prodotto che del processo; un chiaro ed esauriente scambio di informazioni tra chi porta un prodotto a riparare e chi deve ripararlo, una forte manualità, in continuo perfezionamento e la vicinanza fisica tra il laboratorio dove si effettua la riparazione e il territorio dove i prodotti si guastano, tanto che in molti casi il lavoro si effettua a domicilio.

Queste due ultime due caratteristiche creano e rafforzano le relazioni sociali e fanno della manutenzione e della riparazione i nodi di una rete di contatti intorno a cui si possono consolidare dei rapporti periodici e permanenti anche tra coloro che ne sono i beneficiari. La manutenzione e la riparazione, in altre parole, creano comunità e la legano al territorio in cui operano; concorrono anche alla “manutenzione” delle relazioni sociali e al consolidamento del legame tra una comunità e il suo territorio.

Per questo, più che vedere nel riuso una soluzione per ridurre l’onere della gestione dei rifiuti occorre considerarlo un mezzo, tanto più potente quanto maggiore è la potenziale durata dei prodotti messi in circolazione, per alimentare un’attività e una organizzazione del lavoro che consolidano la coesione sociale e la cura del territorio, riducendo, come loro conseguenze, la necessità di prelevare dall’ambiente sempre nuove risorse.