La contestazione del decreto Lorenzin
La contestazione del decreto Lorenzin, diventato legge il 28 luglio, sui 12 vaccini (poi “solo” 10) obbligatori per l’ammissione dei bambini ai nidi e alla scuola pubblica ha suscitato un movimento di massa – due manifestazioni nazionali di 40mila persone a Roma, una a Pesaro di 60 mila, un presidio di parecchi giorni davanti al parlamento, decine di cortei e fiaccolate con migliaia di partecipanti in tutta Italia – intorno a cui media e stampa hanno eretto un muro di silenzio, fino a che due calci contro l’auto di tre deputati del PD non hanno permesso loro di gridare alla violenza e al fanatismo (Michele Serra), riempiendo pagine e schermi di editoriali e deprecazioni. Non entro nel merito tecnico della contestazione – non ne ho le competenze – ma alla dimensione sociale e politica di questa vicenda non solo è lecito, ma doveroso prestare attenzione. Partiamo dagli schieramenti in campo:
A sostegno del decreto troviamo in prima linea Beatrice Lorenzin, ministra che non ha fatto niente per la salute degli italiani, ma si è messa in evidenza con la promozione del fertility-day e l’accusa alle popolazioni della Terra dei fuochi, massacrate dai rifiuti, di essere loro la causa dei propri malanni per abuso di alcol e fumo. La ministra ha anche raccontato fandonie, come una epidemia di morbillo a Londra completamente inventata. Dietro la ministra si profila la figura del virologo Roberto Burioni, uno Zichichi della medicina: questi, in nome della “Scienza”, chiama “cialtrone, terrorista” e “spacciatore di bufale” chi imputa i cambiamenti climatici all’attività umana; Burioni, anche lui in nome della Scienza, chiama “asini raglianti, dall’italiano claudicante” e persone da “eliminare” coloro che si oppongono ai diktat del ministero. Le conseguenze non hanno tardato a farsi sentire. Alcuni medici contrari a un ricorso indiscriminato ai vaccini sono stati radiati dall’ordine; altri sono in predicato per esserlo. Per i loro persecutori la “Scienza” è una religione, e non ha niente a che fare con la ricerca scientifica. “La scienza non è democratica” ha detto Burioni; e Piero Angela, di rincalzo: “Non si decide a maggioranza la velocità della luce”. Bella scoperta! Ma la ricerca scientifica procede attraverso confronti puntuali con le tesi che, sulla base di evidenze contrarie, ne contestano ogni singola affermazione; e non insultando gli avversari, mentre da Burioni e altri sostenitori del decreto non si è sentito altro che improperi. Tra l’altro Burioni è in “coincidenza” di interessi – i suoi – in quanto sponsor del decreto Lorenzin e titolare di diversi brevetti sui vaccini. Dietro Lorenzin e Burioni c’è l’Agenzia del Farmaco (AIFA), che ha nascosto per anni i pochi dati – raccolti casualmente, perché non ha mai avviato ricerche mirate – sulle numerosissime reazioni avverse ai vaccini, tra cui diverse mortali e molte irreparabili; dati che è stata costretta a rendere pubblici solo dopo l’ingiunzione del Tribunale di Torino. Poi c’è Matteo Renzi, che in questo decreto ha visto l’occasione di una prova di forza finalmente vincente. Ma forse c’è anche altro: uno scambio tra un grosso investimento in Toscana (per produrre vaccini) della Glaxo e il varo del decreto, noto e in gestazione da tre anni, quando la Global Health Security Agenda, partnership promossa dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha affidato all’Italia e alla Lorenzin il compito di promuovere vaccinazioni in tutto il mondo (e sperimentare in Italia il loro cumulo). Ma qui il cerchio si allarga. Perché l’OMS è sì un’agenzia delle Nazioni Unite, ma “privatizzata”: il suo bilancio è sostenuto quasi interamente dalle principali case farmaceutiche (Big Pharma), tra cui Glaxo, e da miliardari che hanno il potere di deciderne i programmi, come Warren Buffet e Bill Gates. Quest’ultimo, insieme alla moglie, è sotto processo in India per aver promosso una sperimentazione di vaccini con esiti mortali su bambini di famiglie povere e ignare, mentre Glaxo ha subito diverse condanne: negli Usa – a penali miliardarie – per aver diffuso farmaci senza avvertire dei gravi effetti avversi di cui era a conoscenza; in molti paesi dell’America Latina, per sperimentazioni pericolose con vaccini; in quasi tutto il resto del mondo per ricorso a regalie e tangenti; in Italia, ha pagato 600mila euro per rendere obbligatorio il vaccino contro l’epatite B, di cui è monopolista, ma che le permette di venderne altri cinque nelle “insostituibili” formulazioni quadrivalente ed esavalente. D’altronde, se una casa automobilistica può falsificare i dati delle emissioni di un diesel, e nessuno se ne accorge, allo stesso modo una casa farmaceutica potrà alterare i dati sui rischi di un farmaco. Infine da questo lato della barricata c’è un’opinione pubblica dai confini indefiniti, ma rappresentata in modo totalitario da stampa e media: più con un silenzio tombale sulle contestazioni e le loro motivazioni che con una divulgazione scientifica, del tutto assente. Ma in questo dibattito, che si svolge esclusivamente sui social, i sostenitori del decreto hanno adottato il metodo Burioni: i contrari alla proliferazione inconsulta delle vaccinazioni sono “nemici della scienza”, fautori della stregoneria e del ritorno al medioevo, protagonisti di una feroce “mutazione antropologica”, contestatori dell’autorità per partito preso, paragonati ai seguaci della madonna di Medjugorje, ecc. Tutto ciò ricorda le accuse che fino a pochi anni fa i fautori di uno sviluppo economico incondizionato rivolgevano agli ambientalisti: quello di voler ritornare all’”età della pietra”. Adesso si sa che a farci tornare all’età della pietra sono proprio loro. Ma in tutti quei post, di dati per confutare le preoccupazioni dei “free-vax” non se ne vedono mai: arrivano persino a negare i rischi, assai gravi, segnalati nei bugiardini di alcuni vaccini. Rischi per cui il vaccino contro la meningite è stato improvvisamente tolto dal decreto: era noto che era inefficace e pericoloso. E i social ci hanno anche regalato la foto di quattro bambini autistici con un teschio sulle loro magliette, che ingiungono ai free-vax di lasciarli stare: loro sanno benissimo che il loro autismo è di origine genetica e non vaccinale, e stanno bene così.
Sul fronte opposto, quello dei free-vax, c’è una straordinaria mobilitazione di massa di uomini e donne preoccupate per i pericoli a cui queste vaccinazioni a tappeto esporranno i loro bambini, soprattutto in assenza di qualsiasi minaccia tangibile, come ora. Non vogliono abolire i vaccini, ma chiedono una scelta libera e informata, la valutazione preventiva e personalizzata del rischio per ogni singolo bambino, la riduzione degli interventi a quelli che si rendono realisticamente necessari o opportuni. Questa mobilitazione non è stata promossa da nessuna forza organizzata, anche se è sostenuta, per la verità con scarso impegno, e quasi soltanto in Palamento, da Lega e 5stelle. Certo, al suo interno ci sono presenze “di destra” e razziste, come l’energumeno che ha preso a calci l’auto dei deputati PD o il “filosofo” Fusaro, che rivendica la sua partecipazione alla manifestazione di Pesaro. E altri ci sono e si aggiungeranno, soprattutto se continuerà il disinteresse delle organizzazioni che dovrebbero rappresentare un impegno antirazzista. Ma a nessuno di quei personaggi è stata data la parola dal palco in queste mobilitazioni; mentre i frequenti richiami a una Costituzione appena salvata dall’assalto di Renzi o quello alle madres de Plaza de Mao, lasciano intravvedere le grandi potenzialità culturali e politiche di questa vicenda. In queste mobilitazioni ci sono anche tanti uomini, ma a promuoverla e animarla sono soprattutto delle giovani donne che difendono la propria responsabilità di madri; per questo colpisce il silenzio delle organizzazioni femministe. Tanto scalpore contro la stupida idea di Renzi di aprire un “dipartimento mamme”; silenzio completo – ne pro né contro; e nemmeno per aprire la discussione – su una mobilitazione di donne che stanno combattendo con tutte le loro forze, e con modalità nuove e straordinarie, contro un assalto frontale a diritti che ritengono irrinunciabili. Poi, a sostegno di queste mobilitazioni si sono comunque letti molti interventi di medici, soprattutto pediatri, che si basano sulla loro esperienza professionale; numerosi interventi sensati e indipendenti, in un parlamento col bavaglio, di politici come Adriano Zaccagnini, Nerina Dirindin e Maurizio Romani, ma nessuno argomentato serio a favore del decreto. La tesi di fondo è una sola: per proteggere tutti bisogna raggiungere l’immunità di gregge, cioè vaccinare un’altissima percentuale di bambini, diversa a seconda del virus da combattere. Ma se l’immunità di gregge fosse una cosa seria – si dice – bisognerebbe vaccinare tutta la popolazione, e non solo i bambini, e in molti casi, più di una volta nel corso della vita. O no? Ma forse è proprio quello a cui vogliono arrivare. Soprattutto sono presenti sui social i racconti di numerosi genitori che ritengono, motivatamente, che i loro figli siano stati danneggiati in modo irreparabile dai vaccini. Poi, se solo si varcano i confini, si scopre che dieci vaccini non vengono imposti in nessuna parte del mondo; che, anzi, in molti paesi, più civili del nostro, non se ne impone nessuno; che gli studi che evidenziano numerose reazioni avverse, anche mortali, sono tantissimi; che un nobel della medicina, che tra l’altro ha scoperto il virus dell’AIDS, sostiene, insieme a molti altri scienziati, l’esistenza di una stretta correlazione tra autismo e vaccini; che le cause contro le multinazionali dei vaccini proliferano; che i movimenti contro l’obbligo vaccinale sono ormai in campo ovunque; ecc. Non tutti i suoi protagonisti ne sono consapevoli, ma questo è un movimento globale contro il potere che Big Pharma sta esercitando sulle basi biologiche delle nostre esistenze: un movimento di cui la lotta in Italia non è che una manifestazione. Ce n’è abbastanza per aprire un confronto: sia sul piano scientifico, accettando che vengano presi in seria considerazione, con un confronto sereno, anche gli avversari di Burioni che sono i soli ad adoperarsi per fare vera divulgazione; sia sui rapporti tra politica e movimenti. Devono essere già tutti schierati, quei movimenti, o a destra o a sinistra? E, se non lo sono, li dobbiamo classificare così noi, per poi “annetterli” a uno di quei due schieramenti? Oppure abbiamo qualcosa da imparare proprio dalla loro indipendenza? Per come si sono formati, per come agiscono e crescono, per le ragioni che li spingono a scendere in piazza con tutte le loro forze in difesa di qualcosa che considerano vitale, e che molti di noi stanno invece dando troppo frettolosamente per scontato. Meglio, allora, scendere dal piedestallo e andare a imparare qualcosa da e insieme a loro.