Expò, Milano e Pisapia. Alcune considerazioni sul “grande evento”
Ma Pisapia sarebbe stato eletto sindaco di Milano se in campagna elettorale avesse detto che non avrebbe fatto l’Expò? Questa domanda, fondamentale per discriminare due culture contrapposte, è stata posta da Gad Lerner verso la fine dell’incontro su Expò e corruzione promosso dalla lista L’altra Europa con Tsipras, che si è svolto a Milano giovedì 15 maggio, alla presenza dello stesso Pisapia, di Sergio Rizzo, Gerardo Colombo e Curzio Maltese. La mia risposta è stata: SI’.
Pisapia è stato eletto, sull’onda di quella mobilitazione straordinaria per partecipazione entusiasmo e creatività che aveva accompagnato l’insediamento di altri sindaci come De Magistris, Zedda e Doria, e che era stata alimentata dalla campagna e dal successo dei referendum contro la privatizzazione dell’acqua, dei servizi pubblici locali, contro il nucleare e il “conflitto di interessi”. Pisapia era stato eletto per porre fine alle malefatte di Letizia Moratti, il sindaco che l’aveva preceduto. E tra tutte quelle malefatte – che sono tante – la peggiore è senz’altro l’Expò: il progetto di un “Grade evento”, occasione di un impegno pluriennale in una serie di cosiddette “Grandi Opere”, che, come la stragrande maggioranza delle Grandi opere, non aveva e non ha nessuna giustificazione razionale se non quella di distribuire commesse e incassare tangenti per tenere in piedi un “modello di sviluppo” – in realtà un comitato di affari impregnato di corruzione e di rapporti con la mafia – che per anni, sotto le precedenti amministrazioni, aveva già devastato la città e il suo hinterland. Si badi bene: le tangenti sono una conseguenza – un epifenomeno – e non la causa di questo modello. Se ci fossero solo le tangenti, il territorio e le comunità che lo abitano non ne riceverebbero danni irreparabili. Il vero danno sono le Grandi opere in quanto tali, la devastazione del territorio e delle relazioni sociali nelle comunità che lo abitano; e il modello di businness di cui sono espressione, che è fondato sull’indifferenza per le esigenze delle comunità locali, sul comando di banche e finanza, sul subappalto del subappalto, che apre le porte alle mafie, sul precariato – e ora anche sul lavoro gratuito – che hanno fatto dell’Expò un vero laboratorio dell’Italia e dell’Europa che vuole Renzi – e, ovviamente, sulla corruzione. E i Grandi eventi, concentrato di Grandi opere, sono il compendio di tutto ciò.
Avendo ereditato l’Expò dalla Moratti, Pisapia si era impegnato a renderla meno impattante possibile. Ma invece di raccogliere e dare seguito a quel mandato, lo ha tradito. Non è in discussione la sua onestà, né la sua buona fede; lo sono le sue scelte politiche. Due giorni dopo essersi insediato è stato preso per la collottola da Formigoni e trascinato a Parigi per sottoscrivere gli impegni della città con il BIE. Su chi dovesse prevalere tra quei due non potevano esserci dubbi. Da allora l’Expò – e non i tanti impegni assunti in campagna elettorale, alcuni dei quali sanciti da sei referendum cittadini vincenti, a nessuno dei quali è stato poi dato seguito – ha occupato il centro delle politiche dell’amministrazione milanese. E con l’Expò ha cominciato a rattrappirsi, per poi dissolversi, quella ondata di entusiasmo, di creatività, di speranze che avevano portato Pisapia in Comune. Oggi in città la partecipazione, che era stata la grande promessa di quella campagna elettorale, è a zero. E quelle forze che si erano impegnate per sostenerlo – e soprattutto i giovani, e tra i giovani i centri sociali – sembrano ormai orientate a non votare nemmeno più: non per questa o quella lista; per nessuno. Questo è, in assoluto, il peggior bilancio che si può ricavare da questa avventura.
Poteva andare diversamente? Certamente sì. Ma si sarebbe forse dovuto, come si deve tutt’ora, avere il coraggio di un taglio netto nei confronti della cultura dominante: il pensiero unico; il refrain del “non c’è alternativa”; l’osservanza dei vincoli di bilancio, che in Italia si chiama Patto di stabilità, che strangola i Comuni per costringerli a svendere suolo, beni comuni e servizi pubblici locali; e a reprimere la partecipazione della cittadinanza. Tutte cose che “hanno legato le mani” alla Giunta. L’unica cosa da cui la Giunta non si è sentita le mani legate è stato spendere e/o stanziare 480 milioni (ma quanto esattamente non si saprà forse mai, perché molte opere collaterali rientrano in altre voci del bilancio) per fare l’Expò.
“Sarà il rilancio dell’economia per tutto il paese”, ci hanno detto uno dopo l’altro Prodi, Berlusconi, Monti, Letta e Renzi. Ma c’è qualcuno che veramente ci crede? Gli ultimi Expò, con l’eccezione di Siviglia, sono stati un bagno di sangue per tutte le città e i paesi che li hanno ospitati. “Sarà il rilancio dell’immagine dell’Italia nel mondo” continuano a ripeterci. Sì, dell’Italia come il paese più corrotto dell’OCSE, e forse del mondo. Lo si poteva capire fin dall’inizio. Due anni per negoziare l’organigramma, senza aprire un solo cantiere e senza nemmeno sapere che cosa fare veramente dell’Expò hanno fatto capire a tutti qual era la posta in gioco. Adesso vogliono farci credere che manager da almeno tre anni al vertice dell’Expò erano ignari di tutto. Se davvero lo fossero, sono stupidi e incompetenti, e certo non meritano le centinaia di migliaia di euro del loro stipendio. Se non lo erano, come è ovvio, non lo era neanche chi li ha messi là.
Eppure Pisapia le alternative le aveva: quando si è insediato, bastavano 20 milioni di euro di penale (una “bazzecola” rispetto a quelli che ci costerà questa avventura) per sfilarsi dal progetto. Le ragioni per farlo non mancavano: nell’epoca di internet una esposizione universale è l’idea più stupida che possa venire in mente per mostrare qualcosa che si può vedere mille volte meglio su uno schermo; da tempo le Expò sono dei bagni di sangue: si aspettano milioni di turisti straricchi dall’estero e poi bisogna fare appello alle visite scontate dei connazionali per risollevare un po’ i bilanci; d’altronde, “nutrire il pianeta” con una colata di cemento non è un’idea particolarmente geniale; né innovativa; ecc.
La seconda opzione era l’Expò diffuso (sul modello del “fuori salone” abbinato da anni alla fiera del mobile, che ha sempre molto successo). A Pisapia quel progetto glielo aveva messo in mano un gruppo di architetti, designer e urbanisti che ci lavorava da tempo (c’è anche una pubblicazione in proposito); sarebbe costato molto meno, non avrebbe comportato penali, e i soldi spesi sarebbero serviti per rendere più bella la città; ma più difficili e meno remunerative speculazione e corruzione. La terza opzione, compatibile con la seconda, era seguire i suggerimenti iniziali di Carlin Petrini: nutrire Milano per insegnare a nutrire il pianeta. Cioè promuovere la trasformazione del parco agricolo SudMilano, il più grande d’Europa, in un giardino coltivato a frutta e ortaggi, per alimentare le mense gestite dal Comune (80.000 pasti al giorno); per promuovere una rete di GAS (gruppi di acquisto solidale, trasferendo a costo zero il know-how di chi un GAS lo sa fare, perché lo ha già fatto, a chi vorrebbe farlo e non sa da dove cominciare; magari con un pizzico di promozione); per insegnare a tutti a magiare meglio e a chi lavora la terra a trasformarla in vera ricchezza; e poi, per portare i visitatori a vedere questo miracolo.
Invece si è scelto il cemento: per realizzare la cosiddetta “piastra”, cioè la sede espositiva dell’Expo, che doveva essere un grande orto; localizzandola per di più, unico caso nel corso di tutte le Expo del mondo, su terreni privati da comprare a caro prezzo da chi li possedeva, per poi costruirci sopra tanti stand di cemento che dovranno poi essere demoliti. E si è scelto l’asfalto; perché per far arrivare i visitatori stranieri all’Expò si è dato il via alla costruzione di tre autostrade “periurbane” – o, meglio, perimetropolitane – come se i milioni di visitatori cinesi, statunitensi e australiani attesi arrivassero in automobile da Brescia, Lodi o Varese. Naturalmente tutto in project-financing; ma poiché i soldi i privati e le banche non ce li vogliono mettere, si è scelta la strada di scassare il territorio in vari punti lungo le traiettorie di queste autostrade per mettere tutti di fronte al fatto compiuto: cioè, in qualche modo quei soldi dovranno saltare fuori, perché intanto il danno è stato fatto. E’ la stessa tecnica usata in Val di Susa, dove i denari veri dell’Europa per fare quel tunnel non arriveranno mai; ma intanto si fa lo scavo “geognostico” per rendere il progetto irreversibile.
Dulcis in fundo, il progetto iniziale dell’Expò prevedeva anche un nuovo canale navigabile per farvi arrivare in barca i visitatori, parallelo a uno dei navigli leonardeschi, come segno di sfida per dimostrare la superiorità dei “moderni” sugli “antichi”: le nuove “vie d’acqua”. Nel corso del tempo quel progetto si è trasformato in una fogna in cemento di due metri di larghezza, per far defluire le acque della fontana che ornerà la “piastra”. Poi si è deciso di interrarne una buona parte per dare soddisfazione alle proteste degli abitanti di alcuni quartieri di cui avrebbe devastato i parchi urbani. Ma il costo è rimasto immutato (80 milioni) e l’appaltatore pure (Maltauro, quello delle mazzette); anche se il progetto non sarà pronto per l’Expo. Ma l’importante è comunque farlo. E’ la politica del “fare” cara a Renzi come a Berlusconi.
Poi c’è il problema del dopo. Che cosa fare di tutto quel cemento gettato su un terreno agricolo per illustrare il tema “Nutrire il pianeta”? Problema presto risolto: Formigoni e Maroni volevano farci le Olimpiadi. Ma Roma ha detto no. Pisapia ha ripiegato su un più modesto stadio. Non che a Milano uno stadio, per giunta rinnovato pochi anni fa, manchi. C’è e si chiama San Siro. Ma grazie a una legge approvata dal governo Monti oggi costruire uno stadio vuol dire poter costruire alberghi, centri commerciali, parcheggi, discoteche e cinema multisala: cioè altro cemento, finanziato dalle solite banche. Che, per concedere ai costruttori nuovi prestiti prenderanno in garanzia, come fanno da tempo, i grattacieli vuoti di cui quei costruttori – per lo più falliti, ma prontamente rimpiazzati da nuovi aspiranti bancarottieri – avevano già edificato con precedenti prestiti che non sono in grado di rimborsare in altro modo. Come si diceva un tempo: tutto si tiene.
Il problema vero che tutti i cittadini di Milano e d’Italia dovrebbero porsi è questo: quante altre cose meravigliose si sarebbero potute fare con i miliardi dell’Expo? Ma è la domanda che a Pisapia non ha fatto nessuno.