Che cosa ci insegna la nostra reclusione
Fermi per auto-reclusione coatta nelle nostre case (chi ce l’ha), rimpiangiamo di più il contatto con le altre persone – gli incontri al bar o al mercato, le visite ad amiche e amici, la frequentazione di colleghe e colleghi negli uffici o di compagne e compagni di lavoro (che si devono comunque tenere a distanza di sicurezza) nelle fabbriche dove si è comandati ad andare a lavorare, le conoscenze casuali che si possono fare ovunque, gli amori senza convivenza. E magari anche (qualche) riunione, le assemblee, le manifestazioni, oppure le cose che ci mancano: lo shopping, i vestiti nuovi, i nuovi gadget elettronici, il denaro che non si può spendere, le vacanze e i week-end, la nostra auto là ferma, le mille cose che ci possiamo sempre procurare andandole a comprare quando ci servono o anche no, i piatti di un ristorante o gli aperitivi di un bar, il lavoro che non ti lascia mai il tempo per pensare?
La riproduzione, come la chiama Francesca Fornerio, che ci fa esseri sociali, o la produzione, quella che i padroni delle nostre vite vorrebbero farci riprendere al più presto, che ci mette a disposizione il cosiddetto “benessere”?
E poi, l’aria pulita, il cielo limpido, le stelle che tornano a brillare (viste dalla finestra o dal balcone di casa), le strade vuote e la vita che torna a invadere l’habitat abbandonato dagli umani, con le file di anatre e anatroccoli che scorrazzano ovunque, i pesci che tornano a vivere nei canali di Venezia, i delfini che giocano davanti a una spiaggia deserta e nella laguna. E soprattutto l’idea, ben documentata da tanti video, che questo, e altro ancora, sta succedendo anche nel resto del mondo proprio a causa dell’epidemia che ci ha fatto fare un passo indietro obbligandoci alla reclusione. Tutto questo vale o no la perdita di una vita frenetica piena di troppi impegni, di continui spostamenti, di traffico, di smog, di rumore, di incazzature, di trame competitive, di rivalse messe in atto o anche solo pensate?
Se ci poniamo, anche solo con il pensiero, fuori dalle mura entro cui ci siamo reclusi, come forse torneremo a poter vivere tra qualche mese, ci ritroviamo davanti agli occhi due ambienti e due “stili di vita”, ma in realtà due modelli di società e di rapporto con il mondo che, nell’essenziale possono essere ridotti a queste alternative: persone o cose? Salute o denaro? Vita o lavoro al primo posto? Natura o consumi smodati? Mai come in questo periodo si può capire che il reddito deve essere sganciato dal lavoro.
Possiamo scegliere? Certo non come se quelle alternative ci venissero presentate come marche diverse di merci esposte sugli scaffali di un supermercato: sappiamo che una di quelle alternative è ormai profondamente incistata nel nostro tran-tran quotidiano. Ha dietro di sé, per alcuni, forse per molti, sicuramente non per tutti, le comodità dell’abitudine e la pigrizia o l’incapacità di pensare ad altro. Ma soprattutto ha dietro di sé un esercito di potenti della Terra e di loro inservienti – praticamente tutti – impegnati a fondo a difendere, insieme ai loro ruoli e ai loro privilegi, i meccanismi che li perpetuano, per loro e per i loro figli.
L’altra alternativa è come sospesa nel vuoto di un pensiero che non trova la strada per farsi concreto, di un razionale che non riesce a diventare reale, di una nostalgia di qualcosa che non ha ancora né un dove né un come.
Ma il coronavirus ha dato a tutti uno scossone. Ha mostrato che la vita di tutti i giorni può piombare dall’oggi al domani in un baratro. Che non c’è nulla di garantito. Che quello che ci succede ora potrebbe ripetersi nuovamente, magari cambiando forma, o durare per sempre, o anche volgere all’ancor peggio: la crisi climatica incombe da tempo su tutti e si fa ogni giorno più pressante. Per cui decidere, farsi interpreti e autori del nostro futuro potrebbe rivelarsi una necessità ineludibile.
La politica, quella vera, che è autogoverno – prima di tutto dei nostri pensieri, poi delle nostre esistenze, ma soprattutto della vita collettiva – comincia da qui: dal conflitto tra le alternative che le vicende del pianeta su cui viviamo ci pone di fronte, che si fa subito conflitto tra le nostre pulsioni e poi tra opposti interessi. Conflitto tra classi, tra basso e alto, base e vertice della piramide sociale.
E’ di questo che non si parla più da tempo, di cui abbiamo disimparato a discutere e di cui dobbiamo recuperare “le parole per dirlo”, ma anche il tono con cui comunicare il nostro sentire. Non c’è solo un “discorso” da fare, ma anche un’esperienza di riconquista di un rapporto con tutto ciò che nel mondo è vita, bellezza, salute e anche “spirito”: un’esperienza che dobbiamo imparare a fare insieme, come bambini che si affacciano alla vita. E dobbiamo farla in compagnia dei ragazzi e delle ragazze che uno dopo l’altra, ma sempre più numerosi – parlo di Fridays for Future – e ormai in tutti i paesi del mondo, si stanno rendendo conto che “non c’è alternativa”. O si cambia il sistema o si muore con esso.