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Mobilità urbana (per la rivista “Asilo politico”)

Inserito da on Ottobre 24, 2011 – 1:11 pmNo Comment

La mobilità di uomini e merci in una città è come la circolazione del sangue nel corpo umano: ciò che li tiene in vita. Se poi aggiungiamo anche i mezzi per la raccolta dei rifiuti e le auto e i bus con cui ciascuno di noi torna a casa dal lavoro, stanco e sfatto, accanto alla circolazione arteriosa avremo anche quella venosa Per il governo di una città il controllo della mobilità é quindi un compito irrinunciabile, non delegabile a un cuore artificiale, esterno, estraneo al corpo urbano, che obbedisce a un’altra logica. Ma lo stesso vale per molti altri servizi pubblici locali, a partire dall’acqua (andata e ritorno: servizio idrico integrato), energia (gas ed elettricità), mercati generali e macelli: tutte cose che sono la linfa e l’alimento della vita urbana. Per non parlare dei circuiti culturali, che sono ciò attraverso cui la città pensa e si mette in grado di autogestirsi. Certo, in tutti questi campi, accanto al necessario c’é anche il superfluo, e non é detto che tutto debba circolare lungo gli stessi canali. Ma se uno, molti, o tutti questi circuiti vengono consegnati a una società commerciale (una SpA, pubblica, privata o mista), la cui logica é, e non può non essere, fare profitti, “fare finanza”, crescere; e per crescere allontanarsi dai destinatari dei servizi erogati, che sono servizi “di prossimità”, il governo della città passa nelle mani di questa società e il sindaco si ritrova con un pugno di mosche in mano. Se la SpA é ancora pubblica o mista, incasserà degli utili, con cui provvedere a qualche necessità non più finanziata dai trasferimenti statali: ma sono denari pagati dai cittadini: dividendi sul loro asservimento.

Per tornare alla mobilità, ci sono cose che stanno a monte della scelta dei mezzi, dei tracciati, degli orari, dei carburanti utilizzati dal trasporto pubblico. Una é sicuramente la destinazione d’uso delle strade, la sua ripartizione tra trasporto pubblico, traffico privato e pedoni (decoro, socialità, vivibilità, gioco dei bimbi, sicurezza). Una ripartizione che non può nascere da una decisione centralistica, perché una soluzione del genere non verrà mai né capita né accettata; offrirà sempre occasioni per rimetterla in discussione. Deve nascere da una scelta condivisa e partecipata. Apparentemente è la soluzione più rischiosa: tutti, o quasi vorrebbero continuare a usare la loro auto ovunque. Non c’è niente che solletichi competitività, individualismo e mancanza di spirito civico più dell’automobile. Ma mettendo direttamente a confronto, in uno spazio di consultazione, gli interessi di tutti – mamme, anziani, disabili, pendolari, autisti del servizio pubblico, commercianti, operatori turistici, vigili – le cose si chiariscono e l’uso razionale degli spazi pubblici torna a farsi strada. D’altronde è questa, e nessun’altra – certo non le prediche – la via per educare, e rieducarci tutti insieme, a un uso più distaccato dell’auto, e a un uso più intenso del trasporto pubblico: premessa indispensabile di un suo potenziamento e dell’introduzione di servizi di mobilità flessibile, sia per I passeggeri che per la distribuzione delle merci.

La figura del mobility manager è stata introdotta da più di dieci anni, ma non ha mai veramente funzionato, perché è stata pensata solo per le aziende; e quasi mai presa sul serio. Potrebbe, e dovrebbe, invece essere non una figura, ma un ruolo; ricoperto non da un singolo, ma da un organo collegiale; che faccia riferimento non solo a ogni azienda, ma a ogni quartiere, a ogni caseggiato, a ogni categoria organizzata, a ogni servizio come ospedali, università, anagrafe, ecc.; non solo per rivendicare, ma soprattutto per proporre soluzioni e interventi, alla luce degli interessi diversi e contrapposti che devono essere messi a confronto e discussi in un dibattito pubblico e permanente. Questa è la mobilità partecipata: che permette al sindaco di governare la città a nome e per conto di tutti.

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