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Lavoro, democrazia, reddito. Una nuova visione

Inserito da on Agosto 7, 2014 – 11:06 amNo Comment

In queste materie così complesse e interrelate, partiamo dal lavoro, che è quello che interessa di più tutti i nostri potenziali interlocutori.
Ci sono tante realtà organizzate con obiettivi simili o analoghi ai nostri che non sono state coinvolte – o lo sono state solo marginalmente – nella nostra campagna elettorale. Solo per fare alcuni esempi: le Fiom locali (con quella nazionale abbiamo avuto qualche rapporto), il sindacato della CGIL servizi (che raccoglie molti lavoratori precari), i sindacati di base, molte RSU (in particolare quelle impegnate nella campagna contro la legge Fornero), i comitati di lotta (soprattutto nella sanità e nella scuola), le reti dei precari, molte organizzazioni studentesche (a livello nazionale i rapporti ci sono; a livello locale, non sempre), molte organizzazioni del terzo settore (cooperative sociali e associazioni), i lavoratori di molte delle aziende che chiudono, delocalizzano o si ristrutturano. Tutti i movimenti per la casa, a partire da quelli romani. Poi, la rete dei Gas e dei Des e altre esperienze di “altra economia”, gran parte dei centri sociali (molti sono oggi “astensionisti” e come tali non erano interessati a un rapporto con la nostra lista; ma non lo erano ieri, quando hanno partecipato alle campagne della “stagione dei sindaci” e potrebbero non esserlo più domani); situazioni di occupazioni esemplari come il Teatro Valle, il municipio dei Beni Comuni di Pisa, le Officine Zero di Roma, Ri-maflow e Remake di Milano, ecc., rimasti un po’ ai margini della nostra campagna, ma molto interessati ai contenuti che portiamo avanti. E ancora, associazioni ambientaliste come Energia Felice, Italia Nostra, Greenpeace, e Lega ambiente (a livello locale; a livello nazionale sembra ormai catturata completamente nella rete del PD); la associazioni animaliste. E poi tutti i comitati e i movimenti contro lo squasso del territorio: No-tav (Valsusa e Firenze), No-muos, No Dal Molin, No-triv, No-tem. No-Mose, No Grandi Navi, ecc. dove la lotta contro le grandi opere si combina con quella per una diversa gestione – e manutenzione – del territorio. Poi, tutti i comitati per una diversa gestione dei rifiuti. Infine, Libera (la campagna contro la povertà mette al centro temi come il lavoro e il debito, che riguardano direttamente i nostri lavori; associazioni e comitati come la campagna contro iI TTIP o come a SUD e tanti centri di ricerca o singole figure di studiosi a livello universitario.
Con tutti questi soggetti, qui elencati a titolo solo esemplificativo, dobbiamo cercare di aprire un confronto, soprattutto a livello locale e territoriale, da svilupparsi su due piani:
1. L’individuazione di obiettivi e la promozione di iniziative comuni;
2. Lo sviluppo di una elaborazione programmatica condivisa, anche partendo da posizioni distanti.
La nostra pratica deve cioè marciare di pari passi con una rifondazione radicale dei principi della democrazia, fondata sulla rivalutazione delle persone, sulla solidarietà contrapposta alla competitività, sulla partecipazione, su una riconsiderazione del lavoro alla luce della sua transizione da costrizione ad attività produttiva liberamente scelta. Dobbiamo riuscire a far marciare contemporaneamente l’iniziativa politica e l’approccio culturale.
In questo confronto dobbiamo praticare l’umiltà: non farne una campagna di reclutamento – né di singoli né di corpi organizzati – ma metterci su un piano di assoluta parità, anche per quanto riguarda le decisioni operative.
Come lista Tsipras abbiamo ovviamente poca esperienza da offrire (anche se molti di noi ne hanno accumulato, individualmente o in altre sedi, una quantità non indifferente) e una elaborazione programmatica ancora in gran parte astratta, perché non messa ancora a confronto con la pratica. Abbiamo però due atout da giocare:
1. La nostra appartenenza al GUE, la nostra rappresentanza parlamentare, la nostra presenza in Europa e il punto di riferimento che tutto ciò può offrire anche ai nostri interlocutori; in particolare per quanto riguarda la possibilità di collegarsi con altre realtà organizzate in Europa;
2. L’aver raccolto intorno alla lista L’altra Europa il meglio della intellettualità italiana: decine e decine di studiosi, scrittori, giornalisti indipendenti, registi, attori, musicisti, mentre con il regime, cioè con Renzi e Forza Italia, non è rimasta, per lo più, che una schiera di figure in gran parte asservite: un fatto particolarmente vistoso nel campo del giornalismo. Finora non abbiamo saputo valorizzare questo apporto, che è invece essenziale non solo per ricostruire su nuove basi una cultura della democrazia e del lavoro adatta ai nostri tempi, promuovendo un rapporto stretto e mai subalterno tra pratica politica, elaborazione intellettuale e creazione artistica; ma anche e soprattutto per gettare le basi di una egemonia culturale di respiro europeo. Non possiamo fermarci agli slogan né alle enunciazioni di principio. Questa nuova cultura, alla cui fondazione dobbiamo tutti partecipare, ciascuno con gli strumenti della propria pratica sociale, va elaborata scavando in profondità nel nostro vissuto e in quello di coloro con cui entriamo in contatto; consapevoli del fatto che la cultura della competitività – e dell’individualismo proprietario, del merito come sanzione di una presunta superiorità di chi si è affermato, del mors tua vita mea – cioè la quintessenza del pensiero unico, si è ormai inconsapevolmente radicata anche in atteggiamenti e in convinzioni di chi crede di esserne esente.
Ci sono comunque alcuni, necessariamente pochi, obiettivi o, meglio, temi che dobbiamo mettere al centro del nostro confronto con quasi tutte le forze che incontreremo nei prossimi mesi e anni, senza pretendere di essere noi a proporli, perché in molti casi la loro elaborazione è più sviluppata della nostra. In queste iniziative dobbiamo lavorare sia per sviluppare il tema-obiettivo nelle sue più minute articolazioni locali e in ogni sua possibile operatività immediata, sia avendo riguardo alla dimensione programmatica (e anche esistenziale) che esso comporta.
Il primo di questi temi-obiettivi è il reddito di cittadinanza, o reddito garantito (io aggiungo “incondizionato”: ovviamente nella sua dimensione programmatica). E’ la risposta più sentita – già ora – e più puntuale alla disoccupazione e alla precarietà; ma va definita e motivata ed eventualmente differenziata rispetto o ognuna delle ormai mille forme di esclusione e di precarietà di fronte a cui ci troviamo, compreso il lavoro di cura e le tante forme di impegno in campo artistico e culturale. Ma oggi, e soprattutto in prospettiva, rappresenta anche l’unica vera forma di tutela del lavoro a tempo indeterminato contro il ricatto del licenziamento: quella tutela ormai in gran parte erosa dal progressivo svuotamento dell’art. 18. Ed è, anche, la risposta alle esigenze dei disoccupati over 50 (che mai più troveranno un impiego in un contesto economico come quello attuale) dei quali i cosiddetti “esodati” sono solo una piccola parte. Insomma, può diventare – per ora non lo è – un obiettivo veramente unificante.
Ma accanto alle sue articolazioni rivendicative più o meno immediate il reddito garantito ha anche una dimensione prospettica: la trasformazione del lavoro da impegno coercitivo imposto con il ricatto della disoccupazione e della miseria ad attività liberamente scelta; a modalità di espressione della propria creatività e della propria socialità. Che è anche il modo per promuovere in una direzione non distruttiva le attività produttive e le forme della convivenza sociale – che è quanto oggi più approssima la caratterizzazione della società che vorremmo.
Il secondo tema è la lotta contro la legge Fornero: non va sottovalutato né il disastro che questa legge e la sua logica hanno imposto (la chiusura degli accessi lavorativi alla nuove generazioni; la condanna ai lavori forzati di una generazione ormai logorata dal troppo lavoro; un calo netto della produttività e dell’efficienza del sistema connesso al perpetuarsi di abitudini lavorative consolidate e alla difficoltà di introdurre e valorizzare nuovi saperi e nuove tecnologie). Ma questa lotta, che trova già oggi un interlocutore decisivo nell’assemblea autoconvocata di oltre 400 RSU, ha anche il significato emblematico di opporre la forza dell’evidenza a quella contrapposizione tra gli interessi dei giovani “non tutelati” e quelli degli anziani “troppo protetti”, che oggi viene usata per legittimare l’erosione di tutte le tutele. Il rapporto tra le generazioni, tra figli disoccupati e “a casa” e padri e madri che li sostengono con il loro lavoro, con le loro pensioni, con le loro attività sostitutive del welfare pubblico deve costituire un tema fondamentale della nostra immagine pubblica e di una serie di iniziative di riconquista di un rapporto più organico con le nuove generazioni.
Il terzo tema-obiettivo è la conversione ecologica: che dovrebbe innanzitutto articolarsi nei confronti delle lotte contro la manomissione del territorio e soprattutto nei confronti delle aziende che chiudono, ristrutturano o delocalizzano. Quest’ultimo è il fronte più difficile da affrontare, sia per noi che per i lavoratori che stanno per perdere o hanno perso il loro posto di lavoro. La reazione più naturale è quello di aggrapparsi alla continuità produttiva nella speranza che un nuovo padrone – o un nuovo “piano industriale” – ottenga quei risultati che il mercato e la gestione ordinaria non sanno più garantire. Ma non è così: molte produzioni ordinarie, in Italia e in Europa, ma anche nel mondo, non hanno avvenire, o fanno solo danno; mentre molte altre sono necessarie e urgenti, ma non trovano chi se ne faccia carico. E a farsene carico non può, in linea di massima, essere un “nuovo padrone”, ma una modalità completamente nuova di governance dell’impresa; che non può essere solo “autogestione” (i lavoratori non possono e per lo più non vogliono farsi carico da soli della loro azienda); bensì una soluzione che affianchi al management o a una sua parte le maestranze, l’associazionismo che rappresenta il territorio, le risorse tecniche della ricerca e, ove possibile il governo locale. Perché il problema principale è garantire sbocchi sicuri alle nuove produzioni e questo non può essere fatto, in linea di massima, che attraverso una progressiva riterriteritorializzazione del sistema produttivo; in cui i servizi pubblici locali (acqua, rifiuti, trasporti, energia, gestione del territorio, edilizia pubblica, welfare locale) possono giocare il ruolo di cerniera tra nuove produzioni e governo – partecipato – della domanda. E’ questo che distingue la cosiddetta green economy (che è ricerca del profitto in settori dall’impatto ambientale, vero o presunto, minore) dalla conversione ecologica (che mette invece in gioco le modalità di governo della transizione). Anche qui si tratta di abbinare tra loro una prospettiva generale che va costruita senza salti in avanti, una decisiva battaglia culturale condotta a misura dei diversi interlocutori a cui ci si rivolge, e una capacità di intervento in situazioni puntuali, puntando sul coinvolgimento delle comunità e del territorio. Tenendo conto del fatto che in molte lotte contro la dismissione di impianti o lo squasso del territorio si costituiscono le premesse per forme di solidarietà e di ricostituzione di nuove iniziative di cui la lotta della Valle di Susa è forse oggi l’esempio principale.
Insieme a quello delle fonti rinnovabili e dell’efficienza energetica, i campi abbinati della manutenzione del territorio – contro il dissesto edilizio e idrogeologico – e quello di una nuova agricoltura ecologica, multicolturale e multifunzionale, di prossimità e di piccola impresa, sono quelli che offrono maggiori prospettive di occupazione ai programmi di riconversione ecologica.
Ovviamente tutti questi temi-obiettivi richiedono risorse e investimenti: il che radica nel contesto della quotidianità e delle lotte in corso la nostra battaglia contro il debito, l’austerità, il fiscal compact e le politiche di aggressione ai servizi pubblici, sottraendola in parte al rischio di rimanere un tema astratto.