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Inserisco la scaletta del mio intervento alla settimana della politica (Università di Torino) sul tema crimine e ambiente (5 marzo 2011)

Inserito da on Ottobre 19, 2011 – 3:43 pmNo Comment

Non sono un giurista: ho quindi molte difficoltà nel praticare un campo non mio. Ma è inevitabile: aspetto contributi. Parto dalla distinzione tra CRIMINE e REATO.

Il REATO è definito da una legge di diritto positivo attraverso specifiche fattispecie e sanzionato. In Italia si lamenta l’insufficienza delle declaratorie e delle sanzioni, tanto che i reati ambientali non sono contemplati in quanto tali nel codice penale.

Nemmeno la Costituzione italiana tutela l’ambiente in quanto tale (non lo nomina) se non sotto forma di paesaggio e patrimonio storico culturale.

CRIMINE, invece, l’oggetto di cui ci occupiamo in questa sede, è un concetto più ampio: include comportamenti che possono ledere diritti di altri soggetti, anche se questi diritti sono alquanto vaghi, perché i comportamenti che li violano non sono sanzionati da una legge o da una convenzione internazionale, e anche se la declaratoria delle fattispecie non è ne precisa né specifica. Per questo è un concetto molto elastico, ma non c’è dubbio che il concetto di crimine fa parte di un comune sentire che sta alla base della convivenza umana.

Le due questioni che il concetto di crimine mette in gioco sono: quali comportamenti possono o debbono essere giudicati crimini? E quali sono i soggetti i cui diritti vengono violati da un comportamento criminale? Le questioni si complicano quando dal terreno propriamente sociale dei rapporti tra cittadini, o tra individui, o tra comunità, classi, popoli e nazioni si passa a quello ambientale, che riguarda il rapporto tra l’uomo e la natura.

I cosiddetti reati ambientali sono considerati tali perché producono un danno all’interesse pubblico, cioè alla comunità nazionale o a un comunità locale; e come tali vengono perseguiti d’ufficio. In Italia questi reati sono tantissimi. Ogni anno Legambiente, con la collaborazione dei Nocs, presenta un rapporto denominato Ecomafie che contiene una silloge statistica dei reati ambientali registrati nel corso dell’anno. Ovviamente la registrazione si limita ai reati individuati, cioè oggetto di una denuncia, di un procedimento penale o di una condanna in uno dei tre gradi di giudizio. Sfuggono a questo rapporto i reati che non sono stati individuati e che in alcuni casi sono la maggioranza. I settori principali di questa rilevazione riguardano, nell’ordine, la gestione dei rifiuti, l’abusivismo edilizio, l’inquinamento di aria, acque e suolo, il dissesto idrogeologico, la violenza contro animali.

Sia il crimine che il reato vanno distinti dal danno ambientale, che è un concetto di ordine economico, anche se può essere provocato, e per lo più lo è, da un comportamento lesivo degli altrui diritti. Il concetto di danno ambientale ha trovato le basi di una sua sistematizzazione di impianto liberistico – non a caso riconducibile alla scuola di Chicago – nel saggio Il problema del costo sociale di Ronal H. Coase, che lo riconduce a una questione di diritto privato. Una più precisa allocazione dei diritti di proprietà può rimettere ai meccanismi del mercato la negoziazione delle compensazioni relative al danno inflitto o subito.

In altre parole, fino a che punto alla proprietà di un bene è connesso il diritto di inquinare i beni altrui o i beni pubblici? Per esempio ilo possesso di un’auto include il diritto di emettere particolato dallo scappamento? Il possesso di una casa include il diritto di emettere fumo dal camino? E viceversa, il possesso di un’area include il diritto di non essere attraversata o investita dalle emissioni provenenti da sorgenti esterne? O il possesso di un campo include il diritto di non essere contaminati dal polline proveniente dagli OGM di un campo vicino? Se questioni come queste sono definite per legge, le eventuali esternalità possono essere fatte oggetto di una negoziazione: tra privati o tra i detentori di una proprietà privata e lo Stato, o una sua articolazione, in quanto titolari di una proprietà pubblica.

Nasce di qui la teoria e la pratica dei diritti di emissione, accolti in varie forme sia dai Protocolli di Kyoto che dalla normativa dell’UE: L’inquinamento è un reato, viola l’altrui diritto, solo se non è oggetto di una negoziazione. Anche il condono edilizio, che sana una serie di reati connessi all’abusivismo edilizio, non è che un caso particolare di questo approccio.

In entrambi i casi, cioè sia che entrambi i contraenti siano soggetti privati, sia che uno dei due sia un soggetto pubblico, gli attori della negoziazione – e della preventiva definizione dei rispettivi diritti di proprietà – sono i cittadini in quanto titolari di diritti di proprietà: provata e indivisa in un caso; pubblica e condivisa nell’altro.

Nel caso in cui la tutela dei diritti dei cittadini è assunta d’ufficio dall’autorità pubblica, questi possono comunque costituirsi come parte civile nel caso in cui si ravvisi la violazione anche di un loro diritto specifico.

Ma come è noto la legge consente che possano costituirsi parte civile, per interposta persona, cioè attraverso un tutore, non solo minori, disabili, a anche società anonime di diritto privato e persino associazioni civiche o ambientaliste.

In quest’ultimo caso sorge la domanda: di chi o di che cosa tutelano gli interessi le associazioni ambientaliste? Solo dei cittadini danneggiati, o anche della risorsa, del bene, dell’ambiente offeso? E’ chiaro che qui si apre un varco nella concezione secondo cui il diritto regola esclusivamente rapporti tra persone; cioè che titolari di diritti possano esser solo le persone, fisiche o giuridiche.

Un secondo varco sembra essere stato aperto dalla rivendicazione, ufficializzate durante La conferenza di Cochabamba dell’aprile dello scorso anno, e riproposta al vertice Cop16 di Cancun – entrambe sponsorizzate o promosse dall’ONU – di istituire un TRIBUNALE PENALE INTERNAZIONALE SUI CRIMINI CONTRO LA NATURA (non contro natura). Non esiste una legislazione, né nazionale né internazionale, né alcuna convenzione che definisca e sanzioni questi crimini.

Pure il tribunale oggetto di questa proposta ha un precedente nel tribunale di Norimberga, che ha giudicato e condannato i criminali nazisti – singoli persone, non uno Stato, seppure in ragione del ruolo che ricoprivano – per delitti quali il genocidio, che non esistevano in alcuna legislazione statale né in alcuna convenzione internazionale.

Solo successivamente il reato di genocidio è stato introdotto dalla Convenzione dell’ONU sui diritti umani (1948) e poi nella legislazione di numerosi Stati, tra cui l’Italia (1967)

La proposta di un tribunale internazionale sui crimini ambientali riproduce questo approccio. Per chi abbia contezza delle conseguenze che già ora processi come i cambiamenti climatici indotti dall’abuso di combustibili fossili, o la deforestazione, o l’inquinamento di interi corsi d’acqua hanno sull’assetto di un numero crescente di aree geografiche e sul destino delle popolazioni che lo abitano, non v’è dubbio che se vengono individuate responsabilità personali – e non solo quelle generali dei governi – soprattutto quelle di chi si adopera per ostacolare l’adozione di misure adeguate a invertire le tendenze in atto, questi comportamenti hanno tutti i connotati di un crimine contro l’umanità, anche se questo giudizio non è ancora ratificato da alcuna legge o convenzione.

L’istituzione di un tribunale internazionale sui crimini contro l’ambiente, soprattutto se avallata e legittimata dall’ONU, potrebbe essere la strada per l’affermazione, per lo meno in via di principio, di un concetto di crimine che fa ormai parte di un comune sentire per una parte crescente della popolazione mondiale: soprattutto nei paesi più esposti alle conseguenze dei cambiamenti climatici; e soprattutto per le rispettive componenti di cittadinanza attiva e, in alcuni casi, anche per le loro rappresentanze a livello governativo.

Non a caso la proposta del tribunale internazionale sui crimini ambientali è stato accompagnato dalla rivendicazione che l’ONU faccia propria una Dichiarazione dei diritti di Madre Terra.

E qui veniamo all’ultimo punto. I diritti della Madre Terra (Pachamama, in lingua quechua) sono stati recentemente inclusi, ed eletti a principi ordinamentali di carattere generale, nelle recenti costituzioni di due Stati dell’America Latina: l’Equador e la Bolivia.

Non c’è dubbio che questa posizione traduca una visione del mondo impregnata da una forte compenetrazione tra uomo e natura propria di molte culture tradizionali, e di comunità prevalentemente rurali che è in parte estranea al modo di pensare di un abitante urbano di un paese occidentale.

Ma va anche detto che l’incombere del disastro ambientale sta suscitando in un numero crescente di persone una sensibilità nuova e il desiderio di trattare la natura non come un’entità da sottomettere e dominare, come era nel programma scientifico di Bacone, ma come un interlocutore capace in qualche modo di parlarci e di insegnarci qualcosa.

Un interlocutore che, nelle sua varie manifestazioni, è titolare di diritti ineludibili, come era stato annunciato alcuni decenni fa, per la prima volta, e sul solco di un ragionamento di pretta matrice occidentale, da Hans Jonas