Dopo il voto
La legge elettorale che ha consegnato il paese alle destre (e a un bel po’ di fascisti) non cambierà più, se non in peggio. Perché dovrebbero farlo? Le leve del governo e l’istituendo presidenzialismo sono sufficienti a garantire la loro rielezione comunque vada. Così il nuovo regime non durerà cinque anni, ma un ventennio e forse più… Il PD è destinato all’irrilevanza. E’ troppo legato ai livelli istituzionali per poter cambiare; e gliene lasceranno le briciole perché ha sempre funzionato bene, da tappo o assorbente, nel bloccare la costruzione di una forza alla sua sinistra. Il movimento 5stelle potrà crescere ancora, come opposizione né di destra né di sinistra (come lo era la Lega nella sua fase iniziale), pescando soprattutto nell’oceano delle astensioni a cui non è più possibile attribuire una collocazione di “sinistra silente”. Ma è un movimento senza radici; lo ha mostrato la dissoluzione dei meet-up grillini.
L’opposizione al regime di un uomo solo al comando (iniziato con il culto di Draghi, che il voto ha già trasferito su una donna) si sposta così interamente sul piano sociale. E soprattutto, in Italia, come in Iran, come quasi ovunque, sull’iniziativa delle donne. Gli attuali partiti, e non solo in Italia, non sono più da tempo fucine da cui possano nascere idee adeguate a fronteggiare le sfide della nostra epoca: clima, diseguaglianze, povertà, emarginazione, biodiversità, inquinamento, virus, guerre; nella continua riproposizione del dominio patriarcale.
Se non si introducono delle priorità – e la priorità è la conversione ecologica, che condiziona tutti gli altri ambiti, perché senza di essa si vanifica qualsiasi altro risultato conseguibile – l’opposizione sociale, destinata comunque a crescere o a esplodere nei prossimi mesi, rischia di continuare a disperdersi in tanti rivoli, magari anche contrapposti. Ma conversione ecologica non vuol dire mettere l’ambiente – variamente declinato, insieme alla “giustizia sociale” – al primo posto nei programmi elettorali. Vuol dire affrontare almeno i tre nodi di un cambiamento radicale del sistema produttivo, dell’assetto istituzionale e degli stili di vita; nodi mai affrontati nelle “non-fucine” dei partiti: 1. delineare l’orizzonte di un altro mondo possibile; 2. Esplorare la strada da percorrere per arrivarci; 3. Cercare di rendere il cambiamento socialmente desiderabile, come raccomandava Alex Langer, quando in molti casi viene invece visto solo come perdita del poco, lavoro e reddito, che ancora si ha, senza intravvedere alternative concrete.
Sul primo nodo i movimenti hanno lavorato bene: c’è ormai, non solo a parole, una convergenza sul ripudio di qualsiasi prospettiva fondata su crescita, accumulazione del capitale, produttivismo, estrattivismo, sfruttamento (sia degli esseri umani che del vivente), diseguaglianze sociali e patriarcato; e, in positivo, la ricerca di un assetto fondato su decentramento e partecipazione alla gestione condivisa dei processi produttivi, dei contesti istituzionali e dei rapporti sociali accanto a un orientamento alla sobrietà e all’arricchimento delle relazioni. Certo, ci saranno molte imprese e produzioni da chiudere (a partire da quelle delle armi) ed altre da potenziare. Ma non è detto che il conto si pareggi e cambiare attività è sempre complesso e difficile. Ma si potrà lavorare tutti, meno e meglio.
Sul secondo nodo non c’è che fare spazio all’ascolto: una facoltà di cui i partiti di tutto il mondo si sono sbarazzati da tempo. Non si può imporre a chi è in lotta per obiettivi specifici, ancorché vitali, o a chi è impegnato in iniziative particolari improntate alla solidarietà e alla condivisione, una prospettiva sviluppata in altre sedi e con altri intenti. Bisogna far sì che maturi all’interno delle lotte e delle iniziative, prospettando di volta in volta soluzioni che aiutino ad affrontare le difficoltà; e queste soluzioni coincidono quasi sempre con l’allargamento del fronte della lotta o l’approfondimento dei suoi obiettivi. Ce lo insegna, tra tutte, la lotta trentennale della Val di Susa.
Sul terzo nodo sarà lo sviluppo stesso degli eventi a farci strada: le condizioni di vita della maggior parte delle popolazioni, sia in occidente che nel resto del mondo, stanno subendo, e continueranno a subire, un peggioramento drastico: non la sobrietà perseguita rimodulando e condividendo i consumi sia materiali che culturali, ma l’austerità, differenziata da persona a persona, da un gruppo, una classe o un territorio all’altro, imposta dall’alto come fatto compiuto e ineludibile. Noi sui fatti compiuti non possiamo contare; ma nemmeno sulla predicazione. Serve l’esempio. Un esempio che dimostri che uno stile di vita differente è non solo praticabile, ma anche desiderabile. E ciò può avvenire soltanto in un contesto di condivisione: nel processo di costruzione di nuove relazioni, di nuove esperienze, di nuove comunità: il ruolo che un tempo era stato di alcuni partiti (e di alcuni sindacati) e che oggi non lo è e non lo sarà mai più.